Tirare un sasso in acqua genera dei bei tondi, che crescon sino a perdersi all'orizzonte, e se avete la pazienza di attendere il giusto, trovata l'altra sponda quel medesimo tondo ancor più grande torna indietro a raccontarvi di altri luoghi.
C'era una lavandaia che poverina, amava un uomo che viveva molto lontano. A dire il vero né l'aveva mai visto né sapeva se esistesse, ma sentiva di amarlo per tutte le cose che ella gli aveva scritto.
Lei non aveva monete tali da potergli mandare lettere, né tantomeno vi erano messaggeri disposti a farsi carico delle sue parole, ma si sa che l'ingegno di chi ha poco può smuovere il mondo.
Così Achiropita, tale era il nome della donna, costretta a stare china buona parte del giorno sulla riva del fiume, gli venne in mente di affidar le sue lettere d'amore all'acqua e immergendovi un dito scriveva sulla superficie.
"A m o r e".
Amore prendeva il largo, lasciandosi dietro di se la punta del dito. Si allungava un pochino e cominciava a spumare, si gonfiava così tanto in un'ansa che la "o" diventava "O". Scendeva per rapide cascatelle, dove perdeva la "a" mentre si infrangeva su una roccia che divideva il fiume.
Le mOre galleggiavano perché erano leggere, finivano in un mulinello che le girava tutte e ne uscivano delle Orme che rincorrevano la "a" che avevan perso. Veloce quella le raggiungeva, vi si scontrava, le mandava tutte in diverse direzioni "O r a m e" e le recuperava lentamente, dove il fiume diventava calmo, un pò rimescolate.
"r e m a" si avvicinavano. Rema nelle acque calme.
Ma dov'era finita quella grande O?
Larga là intorno. Le lettere vi erano finite nel mezzo, come se quel cerchietto adesso così largo fosse il bordo della loro imbarcazione.
Un pesce vi saltava dentro a mò di bersaglio e di nuovo gambe all'aria si riperdevano, si rimescolavano, prendevano le rapide di fretta; perché a rincorrer di nuovo quella "O" gli veniva voglia di vedere il "m a r e".
Il mare era oltre la foce, e prima della foce c'era il suo amato, e prima del suo amato c'era il castello con il suo fossato.
Sotto al castello le acque si raccoglievano. Si raccoglieva l'intero "m a r e", e quella grande "O" tornava ad esser piccola, contenuta: amero'.
Una fogliolina vicina alla "o" diede ancora speranza di avercela quasi fatta a quella parola, di aver finalmente percorso tutta quella distanza senza aver perso niente di se, mantenendo il suo senso.
Un ultimo sforzo!
"A m o r e" si raccolse infine in amore, e i due fratelli sulla riva della foce, la raccolsero bevendo un sorso di acqua fresca a testa.
Com'è buono l'amore.
Achiropita viveva così, affidando al fiume tutti i suoi sentimenti, lasciando che le parole navigassero e non chiedendo mai nulla in cambio, perché la corrente va per un verso solo.
Ma arrivò il giorno in cui una "R" tornò indietro.
La lavandaia quel dì ne aveva scritte tante di parole dolci sul pelo dell'acqua, e come ogni sera si preparava con il cestino in testa a ripercorrere la via che la riportava a casa. Ma fatti pochi passi e dato un ultimo sguardo al "b a c i o" che prendeva il largo, si accorse di quella R che ripercorreva il fiume per verso inverso.
Il suo amato le stava rispondendo! Si chinò in fretta vicino al bordo, e mise le mani a conca per raccogliere quella R. Se le portò alla bocca e la bevve.
La R per sua natura pizzicava sulla lingua. Achiropita cercò di scorgere altre parole, ma non ne vide anche perché il buio avanzava.
In quella risposta in forma di singola lettera, c'eran tutte le sue speranze e decise così di rimanere al fiume; ma vuoi per la stanchezza, vuoi per il non scorger nient'altro in quel buio, la lavandaia cadde presto addormentata in riva al fiume, con una mano in ammollo nell'acqua.
La mattina successiva, con gli occhi ancora chiusi, Achiropita sentì qualcosa tirargli un dito. Si destò e quando aprì gli occhi, vide che alla mano che era rimasta a bagno si era impigliata una M.
Subito si levò in piedi, rendendosi conto solo allora di essersi addormentata e quando guardò il fiume nella sua interezza, si accorse che molte erano le lettere che risalivano la corrente.
Era una partitura di vocali e consonanti, che le riempirono il cuore di gioia e dicevano "t b o a r r m i" ma anche "e O g A m n o o". Tutte parole straordinarie, piene di amore e sentimento.
Forse il suo amato era un poeta. Forse un matematico che le rivelava le geometrie dell'amore. O forse un indovino che non indovinava le lettere giuste.
E lettera per lettera Achiropita cominciò a seguire il fiume verso valle.
Passò così anche lei, come la parola "a m o r e" a fare quel percorso verso la foce, camminò vicino all'ansa, poi oltrepassò le rapide cascatelle, giù fin dove la roccia in mezzo al fiume solitamente divideva le parole.
"G i v G d U s s s" e poi i mulinelli, arrivò dove il fiume diventava calmo e bisognava remare per uscirne. Poi le rapide e le lettere aumentavano, si raddoppiavano, si decuplicavano in "s U e v F h s H S v d V f" schiumando.
Giunta nei pressi del castello, vi eran più lettere che acqua che si accumulavano e rimbalzavano tornando indietro, e tutto cominciò ad avere un senso, quando Achiropita vide che canali e piccole dighe, deviavano parte delle acque del fiume verso i campi coltivati del castello.
Le lettere che non finivano nei canali perché ve ne erano troppe, rimbalzavano su quelle costruzioni e cominciavano a percorrere il fiume all'inverso, risalendo la corrente.
Ecco chi le aveva risposto.
I due fratelli che vivevano alla foce del fiume erano due giganti, che da molti anni trattenevano aperto quello sbocco sul mare.
Uno a destra e uno a sinistra tenevano spalancata la foce, che era come una bocca di pietre e fango, puntando i loro piedi a bagno e spingendo con le schiene. Se avessero lasciato il loro posto la foce si sarebbe richiusa, e per tutto quel tempo tenuti fermi dal loro mestiere, avevano ad un certo punto cominciato a ricevere tutte le parole di Achiropita.
Ah! Come divenne a quel tempo pieno il loro cuore, così gonfio da non sentir più la fatica, e vi sarà di sicuro chiaro anche a voi, che andarono in allarme, dopo più di una giornata, senza ricevere attenzioni. Cominciarono così a chiedersi cosa fosse successo alle loro beneamate parole.
Non staccarono mai gli occhi dalle acque e le schiene dalla roccia, ma nel fiume non vi era più né "amore", né "bacio", né "carezze".
Era ormai da tempo che avevan cominciato a ricevere le parole e questo li faceva sentire ben voluti e meno soli. Lì sulla foce avevano tenuto per loro tutti quei pensieri venuti da lontano, senza lasciare che neanche uno riuscisse a raggiungere mai il mare.
Quello dei due che era un pò più verso la foce cominciò a pensare che se fosse arrivata una nuova parola, l'avrebbe però scorta prima quello più a monte, e in questo momento di carestia forse gliel'avrebbe rubata. Era per questo che a lui non giungevano? Così si andò a spostare appena un pò più in su, facendo diventare l'altro quello più a valle.
Ma adesso per posizioni invertite, fu il secondo fratello a sentirsi più distante e pensando che le parole le ricevesse l'altro, si spostò un pò più in alto, lasciando il fratello più in basso.
E prima l'uno e poi l'altro a fare il gioco della cavallina, cominciarono così a risalire il fiume, mentre la foce cominciò a chiudersi piano, man mano che ve ne si allontanavano.
La sala principale del castello aveva due entrate, e se quella alle spalle del trono dava su un frutteto, da quella principale entrò Achiropita.
L'imperatore appena la vide così bella se ne innamorò.
La lavandaia giunta al centro del salone chiese la parola.
- Io sto cercando colui a cui le mie parole d'amore son rivolte. - disse inginocchiandosi - Egli mi ha risposto, ma non ne capisco le intenzioni tra tutte quelle lettere alla rinfusa.
L'imperatore, capendo che era lei la fautrice delle parole d'amore che navigavano sul fiume, si levò in piedi e scendendo i tre scalini che separavano il trono dalla lavandaia, vi si inginocchiò di fronte e disse.
- Vorrei Potervi dire di essere io quella singola persona. Vorrei pensare che quelle parole le abbiate rivolte a noi. Ma anche se son state catturate per errore, il vostro innamorato qui ora è tutto il popolo. - poi la prese per mano e alzandosi le disse - Venite con me e vi spiegherò tutto.
L'imperatore portò Achiropita nel frutteto e staccata una mela dal ramo, la porse alla lavandaia. Lei incuriosita e senza esitazione se la portò alla bocca e ne staccò un pezzo con un morso.
La mela aveva il gusto di "amore", le pesche di "bacio", le arance di "carezze", perché l'acqua del fiume deviata dal suo corso per irrigare i campi, aveva portato il trasporto amoroso di Acheropita in tutti quei frutti.
L'imperatore disse:
- Due giorni fa abbiamo completato le chiuse e le dighe sul fiume, e appena le acque deviate nei canali hanno bagnato i nostri alberi da frutto, che pativan per la siccità, questi hanno ripreso vita grazie alle vostre parole. Il vostro amore è così tanto, che non tutto riesce ad entrare nei canali, alcune lettere hanno ripreso il loro viaggio a ritroso sul fiume, dopo esser state respinte dalle nostre costruzioni. La gente ora mangia questi frutti dai sapori deliziosi e cibandosi d'amore amano anche voi. Si sentono toccate dal vostro sentimento puro, e oggi non trovate un solo amante ma un intero popolo.
Bel problema pensò Achiropita, con tutti questi pretendenti chi avrebbe dovuto scegliere?
E se in quel castello non dimorava il suo amante a cui per tanto tempo ella aveva dedicato i suoi versi, dov'era adesso quel gentiluomo?
Rrrrrrrrr… Boom!
Il castello tremò tutto d'un tratto, e gli alberi da frutto si piegarono per poi tornare al loro posto.
Rrrrrrr…rrrrr… Boom!
Le mura erano scosse da enormi macigni, e le dighe cominciarono a cedere, i due giganti trovato il motivo della cessazione delle parole volevano riprendersele e sollevando e scagliando enormi massi facevano grandi brecce nelle difese del palazzo.
Le loro parole erano tenute in ostaggio da questo popolo ostile, e a loro interessavano solo quelle. Se le sarebbero riprese senza chiedere a nessuno.
L'imperatore corse per proteggere Achiropita e la cinse a se proprio nello stesso istante in cui le dighe cedettero e dal fiume si riversarono tutte le parole d'amore che si erano accumulate, andando per furia a spazzar via ogni cosa, portandosi via i due giganti, che ricevettero tutto quell'amore in un sol colpo.
Abbracciati a tutte quelle L, b, A, s, t, E ed R, ridevano mentre venivano portati via dalla corrente, non preoccupandosi di chi quelle le avesse scritte.
La foce del fiume, che ormai era chiusa senza il mestiere di quei due, non riuscì a restituire al mare tutte quelle acque, finendo così per far da tappo.
Tutta la pianura fu inondata, ogni cosa fu sommersa tra vocali e consonanti che si spargevano ovunque.
L'onda di riflesso stava tornando gonfia al castello, minacciando di farlo sparire insieme all'imperatore e al suo popolo, e ad Achiropita venne lo stimolo di poter salvare la situazione.
E di stimolo vero e proprio si trattò.
Vi ricordate che la dolce lavandaia, quando gli ritornò indietro la prima "R" la bevve facendosi pizzicare la lingua?
Bene, quella "R" per tutto questo tempo, dalla lingua alle viscere aveva percorso l'interno di Achiropita, come se lei stessa fosse un fiume tortuoso. Ora dopo tanta strada, anche quella "R" poverina era giunta alla sua foce, diventando sempre più grande e sempre più forte dentro di lei.
Acheropita sollevata la gonna fece pipì con la "R", che dopo tutti quei giri uscì fuori come un "RRRRuggito", così forte e sicura di sé che squarciò le acque che non toccarono nè il popolo nè il castello. Anzi le rimandò indietro sino ad aprire nuovamente la foce, che non ebbe più bisogno di esser tenuta dai due giganti, che aggrappati alle lettere giunsero finalmente al mare.
Il mare, al di là della foce è uno spettacolo meraviglioso. Sterminato a tal punto che pare poter contenere tutte le parole, quelle vecchie e quelle nuove, quelle vere e quelle inventate.
Il mare può esser calmo o agitato, e anch'esso se si ha molta e molta pazienza, può ingigantire tutto e restituirvi un'avventura straordinaria raccontandovi di altri luoghi.