Sin da bambino, aveva sempre desiderato conoscere l'origine dell'arcobaleno.
Con i suoi sette colori se ne stava fisso lassù a contemplare il mondo, tirava fuori la testa dopo ogni temporale, e per incorniciare l'orizzonte aveva sempre tempo.
Poi crebbe e cominciò a cercare.
Ma voi ci pensate che nella vostra pancia ci sono così tanti metri di intestini?
Che sotto la sottile pelle, metri di vene sono così ordinatamente arrotolate e intrecciate, che a metterle in fila ci vorrebbero troppi passi per camminarci intorno in un sol giorno?
Beh! Anche il mondo è così, un misto di gomitolo e matassa che a districarlo tutto mettendolo poi in linea sarebbe impresa ardua.
Gustavo aveva cominciato da piccolo, un pò per gioco camminando intorno a casa, a immaginare che sotto i suoi piedini ci fossero tutti e sette i colori dell'arcobaleno, e che ad ogni suo passo potesse tingere la terra che calpestava.
Dopo ogni temporale, nel cielo compariva quell'arco colorato che tanto lo affascinava e lui con il naso all'insù, stringeva con forza gli occhi a fessura come a volerlo imprimere con maggior convinzione nella sua memoria.
Aveva cominciato a districare una teoria su di esso: forse quando la pioggia lavava per bene il mondo rendendolo lucido, quello che vedeva così in alto era il riflesso dei colori dei suoi piedini.
Gustavo continuò così giorno dopo giorno ad accarezzare con i suoi colori ogni angolo che riusciva a raggiungere, perché se fosse riuscito a colorare tutto il mondo avrebbe potuto ammirare un arcobaleno senza confini.
D'apprima camminava girando intorno alle cose, poi ne riempiva gli spazi vuoti salendoci sopra, da quei primi tentativi se ne era dovuto inventare di tutti i modi per poter dipanare ogni singolo centimetro percorribile.
Giorno dopo giorno il mondo di Gustavo si colorava un pò di più e dopo aver percorso tutto il giardino di casa, cominciò a colorare la contea, poi tutto il regno, per finire a colorare anche tutti i mari.
Per la strada ci vai dritto, sull'albero di lato in verticale per far bene aderire la pianta del piede alla corteccia, sull'erba colpetti leggeri ad ogni filo così non rischi di rovinarli, nei fossi invece aveva capito che era meglio scendere di schiena e l'acqua la si doveva trattare con particolare cura, perché ha sia una superficie che un fondo.
E il mondo pian piano si svolgeva, strato dopo strato venne sbucciato dai piedi di Gustavo, che calmatosi ogni temporale, guardava soddisfatto la volta celeste che si perdeva sempre più in là oltre l'orizzonte.
- Quando avrò percorso tutto il mondo, l'arcobaleno non avrà più confini, perché il riflesso delle sfumature abbraccerà ogni cosa.
Fatto stà che dopo tanti lunghi anni di cammino per terra e per mare, Gustavo si trovò alla base della ripida parete di un vulcano.
Cominciò come suo solito a percorrerne le pendici tutto intorno, non tralasciando neanche un granello di polvere e sulla cresta ne calpestò la corona intera prima di affrontarne l'interno ormai spento, che scendeva giù a voragine.
Lì dentro si scendeva parecchio, ma la troppa fatica non lo aveva mai spaventato e scese così tanto in basso che ormai il cielo sopra la sua testa era incorniciato in un perfetto tondo azzurro.
Mentre teneva il naso in su per contemplare quello spettacolo, gli capitò di mettere un piede in fallo.
Precipitò per diversi giorni, tanto che ci fece l'abitudine a dormire, mangiare e lavarsi in volo, finché poi non arrivò alla fine del budello che sempre più stretto andava a terminare in una stanza.
Quello era il centro del mondo.
La dentro si sudava parecchio perché faceva molto caldo, il buco da dove era arrivato era stretto stretto che c'era passato appena, poi quando gli occhi si abituarono al buio, si accorse che in lontananza il foro del vulcano era diventato un puntino chiaro, laggiù in fondo.
Si guardò intorno e vide un altro puntino ed un altro ancora, perché in quella stanza confluivano tutti i pozzi di tutti i vulcani del mondo, che a vederli così quei buchini parevano quasi un cielo stellato.
Poi tese l'orecchio e cominciò a sentire tutte le parole del mondo, che l'eco portava sino a quella stanza da ogni direzione.
Gustavo che così tanto aveva viaggiato, ora era in tutti i luoghi del mondo.
Se aveva sonno dormiva, se aveva bisogno di compagnia parlava verso una stella, sicuro che le sue parole sarebbero uscite da un qualche vulcano, e se aveva sete beveva, ma poco poco, perché aveva preso l'abitudine per nostalgia del cielo, di guardare i piccoli arcobaleni che si formavano dall'acqua che evaporava per il caldo del centro del mondo.
Il vapore leggero saliva facendo danzare i colori a mezz'aria verso le stelle, poi lui lo seguiva con lo sguardo oltre esse, per un ultimo saluto.
E ogni volta che Gustavo beveva, dai vulcani di tutto il mondo, si districavano arcobaleni senza confini.
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