Nessuno nasce orfano.
Vi è invece un istante preciso in cui lo si diventa, che fa da lama tra un prima e un dopo.
E se è vero che ogni condizione può esser sovvertita, Geremia aveva trovato allora la sua leva.
Potrei adesso aprire la danza con un "C'era una volta", per poi capitombolare su "un bambino di nome Geremia, che aveva le mani così piccole da non riuscire a tenere quei due sassolini incrostati di fango, trovati tra le pietre tombali il giorno del funerale dei suoi genitori".
Ma cadrei in errore, perchè fu solo molti anni più tardi, che egli cominciò a dimostrare quanto fosse abile a dare forma alla terra.
Il primo strato che tosto Geremia stese, fu il giorno del tredicesimo anniversario. Era crudo ma riusciva a dare un'idea generale della fisionomia: le teste, le gambe, le braccia, i seni per lei, un busto fiero per lui.
Non passò molto, che grazie al secondo strato, colmò con più personalità entrambe le figure. Quando il fango tendeva a sfaldarsi su alcune pieghe, le abili dita di Geremia sapevano arrangiare sempre una soluzione.
Il terzo strato, definì senza ombra di dubbio facendoli fiorire, che si trattava di una donna e di un uomo; e dai cinquanta centimetri si passò nel giro di un paio di mesi, ai sessanta del quarto strato, che li rese stabili.
Il quinto strato fu più difficoltoso perchè si presentò il problema di far essiccare compattando bene la superficie. Il sole poteva aiutare, ma muovere le statue all'esterno richiedeva fatica e ingegno: il peso di quella massa la rendeva una norma assai tortuosa.
Geremia doveva così legarsi un corposo baule sulla schiena e chino sotto quel carico, prima la donna e poi l'uomo, li portava fuori dalla bottega per lasciarli qualche ora all'aria vegliando su di essi.
La superficie ormai pareva solida e le fattezze erano sempre più affini a quelle di veri esseri umani: con ogni vena, pelo e imprecisione della pelle fatti di fango.
Con il sesto strato, Geremia vi si potè cominciare a specchiare: lo stesso suo naso aveva l'uomo, così come l'attaccatura dei capelli; ma il taglio degli occhi era come quello della signora.
Al settimo strato portò in ammirazione per l'intero paese la sua opera, cominciando a girare tutto il giorno con ben due bauli legati alla schiena, non sopportando l'idea di separare i compagni.
La gente li squadrava senza crederci, domandandosi se quelli fossero davvero fatti di solo fango. Persino i colori erano quelli del reale.
Geremia aveva imparato che di terre di diverse sfumature ne è pieno il mondo, e che tutti quei colori che davano vita quasi vera alle sue statue, per differente consistenza schiacciavano col peso quel buon figliuolo. La conseguenza fu che prese ad andare sempre più lento.
L'ottavo strato si pose oltre ogni significato di perfezione e dimensione. Ma dovette rinunciare all'idea di andare in processione, che anche a trascinarsi con le mani, le statue avevano accumulato così tante incarnazioni da inchiodarlo al suolo.
Al nono strato di fango straordinario, quei due colossi presero posto in pianta stabile fuori dalla bottega, perchè i soffitti non avevano dimostrato rispetto né tantomeno vergogna di esser così volgarmente bassi.
- E se voi non capite l'importanza della dimensione, io vi priverò del farvi sentire utili ed amorevoli nei miei confronti.
Da quel momento andò a vivere al di fuori.
Il decimo strato fu quello che gli spaccò di più il cuore, perchè non riusciva a darsi pace per non avere abbastanza da donare alla sua creazione.
Dormiva la notte ai piedi delle statue, e di giorno faceva centinaia di prove per trovare il modo di dar strato robusto alle sue convinzioni, ma fu con l'undicesimo spessore che risolse l'equazione.
Duri come il granito, non avrebbero più dovuto temere nulla, neanche il fulmine.
Il dodicesimo strato eliminò il superfluo, levigando i lineamenti, cercando di trovare una linea essenziale, che esprimesse con un solo gesto tutto ciò che per lui era indispensabile.
Al tredicesimo strato cominciò a piovere.
Nulla avrebbe potuto preoccupare ormai Geremia: l'opera era indissolubile.
Ma continuò a piovere.
Passando le mani sulla superficie, un sottile strato gli rimase sui polpastrelli.
Altri furono i giorni, ma non smise di piovere.
L'ansia gli diede problemi a deglutire. Poi appoggiò le mani per verificare la compattezza dei colossi, ma queste affondarono fino ai gomiti e per il peso dei due Geremia vi rimase incastrato.
Continuò a piovere ed egli ad affondare, come quando stai fermo sul bagnasciuga sabbioso del mare e pian piano ti assorbe sempre più dal di sotto.
Geremia gradualmente faceva sempre più fatica a respirare, perchè compresso ormai nelle statue ci era finito quasi del tutto dentro.
Arrivò in modo naturale che con un filo di voce, tirandosi indietro disse:
- Perdonatemi, ma ora vi devo lasciare.
Con estremo dolore fece un passo indietro, poi un'altro, lasciando al posto del suo corpo un vuoto al negativo nelle statue.
Era il quattordicesimo strato.
Poco dopo, per quella mancanza i colossi si piegarono su loro stessi, non essendo più.
Geremia non si accorse subito di tenere stretti quei due sassolini trovati al cimitero, su cui aveva cominciato a stendere il primo strato.
Le sue mani erano molto più grandi di allora. Si portò poi i sassi al naso e li odorò ad occhi chiusi, perchè si ricordò di aver letto non si sa dove, che sono solo alcune pietre a conservare ancora un odore umano.
E finalmente Geremia fu solo Geremia.
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