martedì 14 settembre 2010

Il mulino che non macinava più - (carte estratte: 13 10 4)



Se mai vi foste trovati a percorrere il sentiero che portava verso quell'affluente del fiume dell'ovest, con molta probabilità oltre le querce e la macchia del sottobosco, sareste giunti al mulino.
Quello che avreste visto sarebbe stato un mulino ad acqua vecchio di molte centinaia di anni, che aveva da sempre macinato il frumento di tutti i paesi della contea, sfruttando un gonfio torrente che si immetteva nel fiume.
Ad accogliervi ci sarebbe stato il mugnaio, un uomo anziano e gioviale che aveva molto a cuore il prossimo; non era difficile - a dire il vero - che chiudesse un occhio con quei contadini che non potevano permettersi, costo la loro stessa salute, di saldare completamente il dazio che gli spettava per la macina.
Tendendo l'orecchio, molti passi prima di giungere, avreste sentito lo sciabordio dell'acqua che faceva forza sulle pale e più vi foste fatti vicino, il digrignare interno di pietra contro pietra vi avrebbe fatto intuire di esser ormai quasi giunti.
Ma tutto questo non era più.
Il torrente, per un capriccio del tempo, decise che non si sarebbe più fatto strada tra i campi e una siccità senza fine, si portò via il ricordo del mulino.
Senza l'acqua, la ruota non aveva di che muoversi costringendo la macina ad un eterna fissità.
Il mugnaio non si dava pace e si sentiva in qualche modo responsabile per il destino di tutti quanti, ma un giorno alla sua porta si presentò un giovine contadino con del frumento da far macinare.
Il vecchio con gran rammarico, gli spiegò la situazione: senza la forza del torrente, non era possibile far funzionare la macina.
Il contadino saltò giù nel letto del torrente ormai asciutto, vedendolo sparire al di là del parapetto il mugnaio si sporse per vedere che fine avesse fatto.
Il vecchio fece un salto tale che fini sulla schiena, quando il giovane gli sbucò davanti al viso gridando di avere la soluzione.
Portarono il sacco dentro al mulino e versarono il frumento nel largo piatto della macina, poi il mugnaio seguì il contadino sino a raggiungere la grande ruota.
E lì cominciarono l'ingegno: usare le pale come i pioli di una scala.
Fu così che da un lato il vecchio cominciò ad arrampicarsi e dall'altro lato il giovane spingeva verso l'alto, e più il vecchio si inerpicava, più il giovane spingeva.
La macina cominciò a lavorare e si sentiva da dentro il digrignare della pietra.
Il vecchio continuava a salire e ripensava a tutti i bei momenti in cui il mulino aveva funzionato spinto dall'acqua, ai capelli della sua amata, a tutti i sorrisi e le chiacchere con i contadini amici, a quella volta che aveva perso dieci monete, e al suono delicato del torrente che aveva accompagnato tutta la sua vita fino a quel momento.
Con l'aria fresca sul viso sorrise, guardando verso il cielo, per un attimo gli parve che fosse lui a manovrare i meccanismi del creato, facendo scivolare le nuvole lontane.
Poi la macina pian piano rallentò.
Il frumento era stato ormai macinato fino all'ultimo granello.

lunedì 6 settembre 2010

Nella torre di guardia - (carte estratte: 16 11 6)



Ai confini orientali del regno, sorgeva un faro di guardia costruito sui bordi della scogliera.
Il torrione di marmo bianco, era l'occhio di chi voleva raggiungere la terraferma e la luminosa voce che allertava la città in caso d'attacco.
Un solo riflesso verso la torre gemella al centro della città e un intero esercito sarebbe stato pronto a difenderne i cancelli.
Nel ventre del faro viveva una coppia di giovani sposi, perchè dai padri dei padri dei padri, era tradizione che a vegliare ci fosse qualcuno mosso da sincero amore.
Una notte senza luna, un manipolo di briganti si riunì intorno al pinnacolo per mettere in atto un sabotaggio, permettendo così al nemico di avanzare dal mare nero come la pece.
Le canaglie ebbero da subito la meglio, perchè con un sol colpo ben assestato mandarono in frantumi lo spesso vetro della lanterna scoperchiandone il tetto e mentre cominciava a piovere, le oscure navi dal mare mantennero la rotta.
Ridotti così al buio, i giovani amanti imbracciarono gli archi per rispondere ai malfattori.
Senza il baleno del faro non potevano avvertire la città, ma avrebbero venduto cara la loro pelle per evitare la sciagura.
La pioggia batteva martellante e sigillati com'erano dentro alla struttura per evitare di essere uccisi, videro ben presto dai piani bassi l'acqua che si faceva strada sino alla cima.
Maledetti gli dei! era come stare in una bottiglia con un imbuto per cappello.
Ai briganti venne un'idea che gli parve divertente, i fuochi per segnalare la loro presenza alle navi oscure, li avrebbero appiccati alla base della torre, così che le fiamme protette dalle tettoie avrebbero attecchito.
E poi l'idea di trasformare quella torre in un enorme calderone, era una tentazione troppo gustosa da farsi sfuggire.
Sulla cima della torre i due amanti si prepararono ad incoccar le frecce, ma per entrambi era la prima volta e maldestri come erano si amputarono a vicenda ognuno un braccio, l'uno il destro e l'altra il sinistro.
In quella situazione non vi era più speranza, e loro che così cara avrebbero voluto vendere la pelle, si ritrovarono fuori dalla questione senza neanche aver incoccato la seconda freccia.
Il fuoco aveva cominciato a prendere bene e tutta l'acqua che avanzava all'interno del faro si era fatta così calda, che i due rischiavano di far la fine delle patate lesse.
I due amanti si volsero l'un l'altra e decisero in uno sguardo di compiere quella che probabilmente sarebbe stata la loro ultima impresa.
Un solo braccio a testa cinse il compagno diventando un unico intreccio, si lanciarono allora proprio al centro della torre.
Nuotarono sempre più nel profondo con il bollore che gli lessava le carni, ma loro dritti nel cratere uterino, dove il nero li inghiottiva, non si persero d'animo.
Persero dapprima la pelle, poi i muscoli e le vene, infine solo la struttura raggiunse la maniglia.
Il pinnacolo si svuoto all'improvviso, quando giraron la chiave della porta principale, con le acque che sciabordavano in ogni dove.
Dei briganti non ne rimase neanche uno, spazzati via tra le sterpaglie e i legni arsi accatastati intorno al faro, finiron tutti dritti in mare ad accogliere le navi oscure, che senza un fuoco luminoso andaron fracassate tra gli scogli.
E sulla soglia, degli sposi rimase ben poca cosa, soltanto due pani d'oro ai piedi della scala di marmo bianco.

sabato 4 settembre 2010

Le gambe del fratello scapestrato - (carte estratte: 12 4 21)








Ogni essere umano, ha due gambe.
Le gambe sono assai importanti, perchè senza di esse ci troveremmo in una strizzata d'occhi a rimaner senza amici.
Mio caro lettore, senza le tue leve non potresti più far passeggiate con le persone a te care, sarebbe fuor di questione danzare con la tua controparte e ben più difficile ti sarebbe portare al pascolo il bestiame, ammesso che tu ne abbia ben donde.
La storia che ti volevo narrare, parla proprio di gambe, ma non di due, bensì di cento, mille, centomille gambe; però il due centra, poichè tutto comincia dal poco.
Vi eran due fratelli, che poi eran due gemelli e cosa ben più grave erano in corsa per il trono.
L'uno era saggio, l'altro era scapestrato.
Non fu troppo difficile per il saggio averla vinta in poco, bastò dire che lo scapestrato fosse scapestrato e avesse rubato tanti soldi; che poi anche non fosse stato vero, esser riconosciuto saggio ti largisce certi bei privilegi.
Fatto sta che lo scapestrato fini sul capestro.
Patatran! La corda si tese e a quello gli si tirò il collo.
Ma nella morte violenta, alle tue gambe qualcosa di raggelante accade e son gli ultimi spasmi che ti portano a danzare nel momento del trapasso; e quell'immagine si stampò proprio così dritta nelle meningi del fratello saggio, che ad ogni istante che chiudeva gli occhi rivedeva il fratello far balletto per l'ultima volta.
Caro lettore chiamalo come vuoi, rimorso o abitudine, ma proprio quell'immagine non gli si levava dal capo.
Ogni notte, nel suo letto, l'ormai sovrano non riusciva più a tener le gambe ferme, e muovile a destra muovile a sinistra, la notte passava tutta a far di riposo balletto.
Poi arrivarono i giorni, e quello continuava a ballare, sedeva sul trono e danzava, dava udienza e danzava, sfilava in parata e danzava; che la gente cominciò a domandarsi se volesse rubar il mestiere al giullare.
Così un po' le risa si insinuarono nel volgo, tanto che il sovrano danzerino non pareva poi più così autorevole.
Ma io ve lo avevo detto che era il gemello saggio, mica era quello finito col collo tirato; e fece allor proclamare un editto: Immantinente in tutto il regno bisognerà danzar in sempiterno.
Che ci volle prima un po' per il volgo a capir cosa volesse intendere, ma quando chiunque fu pungolato dalla spada gli venne ben chiaro.
E fu così che cento, mille e centomille gambe cominciarono a danzare, per non far sentire il sovrano messo da parte.
Che poi balla oggi e balla domani, andarono tutti in ascesi e salvazione come un buon derviscio.
Mio caro lettore, ti dico che quindi quello che era saggio non fu più l'unico; ma poi si sa che cento, mille e centomille saggi, tutti in salvazione, fan presto a lasciarsi indietro la corda, che ha distaccato l'alma dello scapestrato, dalle lusinghe del mondo.