sabato 26 novembre 2011

Il dilemma delle tre gabbie - (carte estratte: 13 4 15 - tiraggio di Stefano M.)



- Cip cip!
Il barone aveva un vizio: spremeva i canarini come fossero limoni.
Non che in questa cosa vi fosse un fine discernimento, ma egli per comprovare che teneva il pugno di ferro, li strizzava per benino in fronte a chi gli veniva a chiedere qualche concessione su questioni di moneta.
Aveva una bella gabbia d'argento nel suo studiolo, con dentro tutte quelle ali che frullavano, e man mano che ne strizzava uno, questi veniva rimpiazzato con un altro, così che il numero fosse sempre uguale.
Saverio era piccolino e sapeva bene l'abitudine del padre, e sensibile com'era ogni volta che un canarino veniva strizzato, sentiva come se il barone stringesse tra le dita il medesimo suo cuore. Così un giorno il figliuolo decise che avrebbe salvato da compressione se stesso e tutti quelli.
Ora per farvi capire nel profondo quanto per lui la cosa fosse urgente, vi dovrei raccontar per bene la procedura di stritolamento, così da farvi patire il dolore che provava il piccolo nel vederla. Ma mi riservo dal fare ciò solo perché le parole non renderebbero bene tutti i crick e crack, degli ossicini tra le dita.
Saverio che ci perdeva le giornate ad osservare l'allegro volo dei limoni in gabbia, si chiese come poter fare a salvar ben tredici canarini senza perderne la grazia?
E se per ogni volta che il padre aveva stretto tra le dite uno di quelli, il suo cuore vi si era stretto assieme, pensò che gli allegri potessero al contrario gonfiargli il petto. Così uno per volta li raccattò dalla gabbia e se lo infilò nella camicia, curandosi di chiudere per bene l'ultimo bottone una volta che il tredicesimo fu dentro.
Fu una strana quanto piacevole sensazione, perché quelli frullando tra maniche, schiena e petto, gonfiavano e sgonfiavan la camicia manco fosse un mantice.
- Cip, cip… cip… cip, cip, cip.
Per nascondere al padre il suo gesto, Saverio cominciò a parlare così, aprendo e chiudendo la bocca senza dar fiato, ogni qualvolta un canarino cantava.
Di fronte alla gabbia vuota, il barone rimase piegato ad angolo a pensare per giorni, non riuscendo a capire quale fosse la soluzione al dilemma della gabbia.
Prese a controllare le sbarre, la porticina, il fondo. Passò alla finestra, alla porta, e alle tasche dei servitori.
Niente! Non comprese mai che fine avessero fatto i suoi amati limoni.
Passarono ben dieci anni, e tutti nel paese avevano meraviglia di Saverio, il giovane che aveva il dono del canto tanto soave che pareva un usignolo. Io avrei detto un carino avendo l'orecchio più fino, ma la gente diceva così.
- Cip, cip, ciiip… cip… ciiiiiip…
Cantava Saverio alla messa, per rendere grazie al signore, mentre gli frullava la camicia che pareva avesse in corpo un così gran cuore da scoppiargli da un momento all'altro, e non passò molto tempo che gli venne chiesto di intraprendere il mestiere di cantore nei più grandi teatri dell'europa.
Saverio oltre a cantar come un usignolo - Pardon! - un canarino, passava anche per eccentrico. Per anni per non far scoprire i limoni che gli svolazzavan nella camicia, commentava firmando contratti con dei bei…
- Cip… cip… ciiiiip, cip…
- Sono artisti, hanno in corpo qualcosa che li rende speciali.
Dicevano intorno a lui, aumentandone ancor di più il prestigio.
E dall'ambasciatore, tra le cosce della bella prosperosa, e addirittura davanti al papa, Saverio cinguettava che era una gioia sentirlo. Mai neanche una parola per non farsi scoprire, ma tanto i discorsi dell'arte li capivano oltremodo tutti.
Non vi fu giorno che Saverio non ringraziasse i suoi tredici compagni di viaggio, facendo scendere semi, bacche, acqua e quant'altro giù per le maniche. Aveva preso pur l'abitudine di salire sui rami più bassi degli alberi per far balzi giù, sperando che forse quei tredici lo avrebbero persino portato in volo, ma ogni volta tornava per terra e andava in teatro.
Il giovane cantante fece una carriera strepitosa, senza che gli mancasse niente, né a lui né ai suoi compagni, e quando divenne curvo come il padre tornò a vivere nella casa dove c'era la gabbia d'argento. Tornò dove suo padre era rimasto per anni piegato a fissare la gabbia senza risolverne mai il dilemma fino a che la morte non gli aprì la finestra.
Un giorno mentre stava al davanzale, Saverio scorse su un albero lì di fronte, proprio sulla cima, un enorme nido vuoto che sarà stato di una cicogna o di un qualche uccello bello grande.
I canarini, nonostante l'improbabile età frullavano cinguettando più che mai, come se volessero dirgli qualcosa. Così Saverio, che intendeva ormai il linguaggio degli uccelli, decise di fare a loro il più grande dono: il nido più bello e spazioso che egli avesse mai scorto in vita sua.
Cominciò così la scalata verso la cima e ramo dopo ramo, passato un pomeriggio intero, fu sulla punta. Uno per uno Saverio adagiò i vecchietti nel nido e appena il tredicesimo fu giù, tutti insieme senza né un cip né un cip cip se ne volarono via.
Saverio, rimase li appeso in bilico, senza poter neanche fargli un saluto con la mano, non capendo bene dove quelli fossero andati.
Rimase in bilico li sopra per anni non afferrando quella scortesia.
E a volte mi ritrovo a pensare, che solo un canarino può comprender bene quale sia la soluzione al dilemma delle tre gabbie.

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