sabato 5 novembre 2011

Adorno duca di Villa Due Pani - (carte estratte: 12 13 9 - tiraggio di Mauro G.)



Io, me medesimo Adorno duca di Villa Due Pani, nella mia persona più intima, rivendico esser impiccato secondo le norme che moderano da tradizione specifica gli atti di morte svolti da ogni singolo membro della mia famiglia.
Poiché la mia persona discende da genia di consapevoli appesi, incasso con questa che formalmente vengano effettuate le singolari procedure, acciocché la mia dipartita accada in guisa conforme a costume.
La corda alla quale affiderò il sottile mio collo dovrà essere di canapa e lino in proporzioni eque. Intrecciati a mano i trefoli, dovranno essere in numero pari. Nove saranno i giri dei correnti attorno ai dormienti, per evitar condizioni a scorrimento fallace.
Non saranno le mura del castello né il dirupo a sostenere il mio carcame com'è d'uso, ma reclamo ch'io venga affisso a ramo di albero di quercia; che la forza e robustezza che ha rinfrancato il mio intero essere, mi sia di appiglio nell'istante del mio ultimo fiato.
Ho realizzato per l'intera mia esistenza un nutrimento puntuale e morigerato, sicché venga evitata la decapitazione da tensione estemporanea, ma si possano rompere in sequenza la seconda, terza, quarta e quinta vertebra cervicale.
Sottoscrivo come ultima mia volontà questa, poiché in me vive la sicurezza che chi ha saputo viver correttamente ha nel diritto di saper dipartire.



Fu così che Adorno duca di Villa Due Pani decise di andarsene. Non che avesse commesso nulla da meritarsi cotal fine, fu solo che così decise.
Per linea familiare egli faceva parte di una casata molto lodevole nel prender coscienza dell'ultimo respiro, e pertanto gli vennero concessi tutti quelli che ai più, potevano sembrare solo cavilli.
La cerimonia fu solenne, con corda di canapa e lino in proporzioni eque, trefoli pari lavorati a mano, giri e quercia tutti a puntino e anche la decapitazione fu evitata; ma vi si presentò un solo errore, perché benché seconda, quarta e quinta vertebra cervicale si sbriciolarono all'istante, quando la corda si tese fu risparmiata la terza.
Ora a dire il vero chiunque in quella condizione si sarebbe arreso comunque alla morte, ma il duca Adorno era così cocciuto da non morire.
Con la testa a penzoloni dal cappio che gli cingeva il collo, egli cominciò a sbraitare contro i valletti che avevan preparato la cerimonia.
- Ma come diamine può esser successo! Ho passato notti e giorni dinnanzi a calcoli e statistiche.
I valletti provarono a farlo calare dal ramo, ma egli si rifiutò con decisione.
- Non se ne parla neanche! Ho un buon nome da far rispettare, e la morte deve sopraggiungere secondo tradizione. Rimarrò qui appeso sino a quando anche la terza vertebra non si sarà decisa a seguire le sorelle sue.
Adorno quindi rimase lì penzoloni per almeno nove lune, ma nulla accadde, perché sembrava che la terza vertebra fosse più cocciuta del padrone; e in questo tira e molla con in mezzo una corda, pareva non vi fosse vincitore.
Chi passava dalle parti della quercia ormai si era abituato a veder quel tizio ciondolante come un prosciutto a stagionare, che lanciava grida a tutto spiano inveendo contro quel solo osso che non lo voleva lasciar andare. Si dondolava, si dava slancio, tirava e solo Dio sa come riusciva anche a saltellare, ma sembrava non esserci rimedio a quella lunga attesa.
Il ramo a cui era stato impiccato Adorno dimostrò così di essere il più robusto della quercia, come egli e la sua vertebra cervicale; e proprio quel singolo braccio di legno divenne ben presto il problema, perché le offerte per comprare il solido bastone dell'albero dell'appeso cominciarono a salire.
Si, perché al di là di qualsivoglia attesa, quella quercia aveva un padrone che dal legno si pagava il vitto, e quando si trovò a dover far coricare l'albero per farne materiale da costruzione, al duca non andò proprio giù di veder infranto il suo sogno di morir da impiccato nella regola dei suoi avi.
- Qui non vi è rispetto neanche per un moribondo con il collo ripiegato! Ma giammai taglierete la corda che mi tiene maledettamente appeso alla vita.
E così infatti fu.
L'albero, come da suo destino, fu abbattuto per poi esser tagliato in blocchi, assi e tavole.
Con quel ramo ci venne costruita l'anima di un bell'aratro per lavorare i campi, con attaccato ancora il duca Adorno di Villa Due Pani.
Al nobile non parve vero di aver in realtà migliorato così tanto la sua condizione. Eh si, perché ora forse ce la poteva fare a farsi sbriciolare quella vertebra, visto che i buoi che tiravano l'attrezzo erano così forti, che di sicuro non ne sarebbe uscito vivo.
Per ben tre stagioni intere, Adorno solcò la terra attaccato a quell'affare, aggrappandosi alle pietre più pesanti che riusciva a raggiungere, per aumentare a dismisura la tensione della corda.
Cercava di dosare le forze per evitare la decapitazione, che di sicuro lo avrebbe portato al creatore, ma l'avrebbe fatto uscire fuori da ciò che si era proposto di fare.
L'aratro per il tanto lavoro si consumò rapidamente e dopo altrettante stagioni fu dismesso, e destinato a diventare qualcos'altro.
Del pezzo a cui egli era appeso ne fecero il bastone di un vecchio.
Quale sventura fu quella, molto peggio di non esser morto, perché quel raggrinzito, camminava così piano che chissà quanto tempo e vigore gli ci sarebbe invece voluto per tirare bene il collo di Adorno trascinandolo in così pacata maniera. Che se neanche i buoi c'erano riusciti!
- E muoviti cariatide! Che qui c'è del lavoro da fare, non è guardando le farfalle che mi si sbriciolerà la terza vertebra cervicale.
- Mio caro duca, io ci metto dell'impegno invero, che non ci sarebbe cosa che più mi renderebbe felice al mondo saperla morta perché io gli ho tirato dabbene il collo. - disse il vecchio - Potessero queste braccia avere il vigore di un tempo, lo farei tosto. Io ho vissuto l'intera vita per dare una mano al prossimo.
E passo dopo passo, anche se per ognuno ci volevan ore, il vecchio vi si impegnava davvero a provare a tirar definitivamente il bavero al signore.
- Ma chiedo venia caro duca, perché proprio da appeso avete deciso di lasciar questo mondo? Non si poteva far in modo migliore?
- Io son appeso per linea familiare. - rispose il duca che cominciò ad elencare - Mio padre morì appeso per scelta sulla forca nella piazza principale. Il mio nonno buon anima si fece attaccare al pennone della caserma militare. Bisnonno e trisavolo un sul castello e l'altro appeso alla cattedrale.
E continuò così per almeno altre tredici generazioni all'incontrario.
- Vedi vecchio, morire da impiccato è ciò che definisce chi io sia.
- Ora mi è chiaro. - disse il vecchio - e se è ciò che veramente volete, so come farlo accadere.
Il duca accettò all'istante, così finalmente si sarebbe potuto realizzare.
Il vecchio prese un coltello e cominciò ad intagliare il suo bastone, dove ancora vi era appeso il duca adorno di Villa Due Pani, e con le industri mani trasformò quel semplice pezzo di legno che prima era stato aratro, che prima era stato ramo, che prima era stato albero, che prima era stato seme caduto da un'altra quercia, in un flauto.
Ora il duca era appeso ad un bel flauto di legno di quercia, e appena il vecchio soffiò nello strumento ed una nota prese il volo, la terza vertebra cervicale con uno schiocco si sbriciolò all'istante, lasciando lì il cocciuto Adorno con un sorriso.


Io, me medesimo, ramo dell'albero di quercia, nella mia lignea persona più intima, rivendico di andarmene da questo mondo in una forma che non sia quella del nonno del padre di mio padre; poiché io possa trasformarmi in vento e suono, così che anch'io infine mi possa davvero realizzare.

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