Di fronte all'esattore c'era poco da fare, niente storie, niente sotterfugi, si era solo costretti a pagare.
Lo sapeva bene Agenore, umile contadino, che in quella situazione proprio non ci si sarebbe voluto trovare.
- …e non accetteremo un fiorino in meno di quelli che sono nostri di diritto.
Fece eco una guardia alle parole del funzionario.
Il povero contadino si guardò intorno, viveva in una catapecchia con moglie e dieci figli, sul paiolo una brodaglia a scaldare e niente più.
Probabilmente se fosse stato un ricco possidente, un tal sopruso non lo avrebbe di sicuro subito.
Tirò fuori tutti i fiorini richiesti e pagò.
Fortunatamente nascosto sotto le assi della stanza, aveva un forziere pieno di ori e pietre preziose: Agenore non era un vero contadino a dirla tutta.
Nessuno in famiglia conosceva la verità sull'uomo, perché egli si era guardato bene dal farla sapere. Il forziere lo aveva messo lì sotto quando ancora non era sposato, quando neanche aveva la benché minima intenzione di avere tutti quei figli.
Il lavoro nei campi era duro, ma di sicuro era sempre stato qualcosa che nella sua vita da ricco signore aveva voluto provare, così si era finto un poveraccio, avevo conosciuto una donna semplice e si erano trasferiti in quella catapecchia.
Agenore in realtà era un ricco possidente, con tanto di castello, valletti e cavalieri al suo ordine.
Il giorno dopo aver pagato la gabella, si rese conto che forse nascondere il forziere proprio in casa non era stata una buona idea, lì chiunque lo avrebbe potuto trovare. Se quelle assi su cui avevan camminato funzionario e cavalieri, lo avessero tradito cedendo sotto al peso delle armature, la sua bella storia sarebbe finita in quel preciso istante: gli avrebbero confiscato tutti gli ori.
Agenore decise così di portare quel tesoro, in un luogo più sicuro.
Caso vuole che il giorno prima portando al pascolo le pecore, aveva trovato un campo in cui c'era un pozzo naturale che il tempo aveva scavato nella roccia.
Ottima idea!
Con lo scrigno in spalla, si mise in cammino.
Poco dopo essersi allontanato dalla strada maestra per tagliare in mezzo al bosco, gli si pararono davanti due individui che sembrava proprio avessero scritto sulla faccia "noi siamo farabutti".
E proprio quello erano, del tutto intenzionati a portarsi via l'intero bottino.
- Contadino! Cosa proteggi in quello scrigno?
Che brutta situazione! Se non fosse stato un riccone, tutto quel putiferio non avrebbe proprio avuto inizio.
Fortunatamente, anche se voi farete fatica a crederci, il ricco Agenore non era mai stato un facoltoso possidente.
Agenore era un ladro, uno dei migliori, tanto che aveva messo in piedi una banda di briganti organizzati.
Passò anni in quei boschi, terrorizzando chiunque passasse da quelle parti e collezionando un vero e proprio tesoro.
Poi come spesso accade, quella vita all'addiaccio gli era diventata troppo stretta e disponendo allora di un considerevole tesoro, pensò bene di comprarsi una vita da signore.
Aveva quindi acquistato dei terreni, fatto costruire un castello, assoldato cavalieri e dato vita ad una vera e propria corte, lasciandosi alle spalle la sua vita criminale.
- Imbecilli ma non mi riconoscete!
Disse Agenore ai suoi due briganti.
Il più scaltro, si strofinò gli occhi e guardò meglio.
- Capo? Con quei lunghi baffi non mi parevi proprio tu.
Così i due da assalitori divennero quelli assaliti dalla furia di Agenore, che li prese a bastonate per non averlo riconosciuto.
Con lo scrigno in spalle proseguirono verso il cuore del bosco, dove avevano una grotta con tutti i loro tesori.
Quella notte fecero baldoria, scolandosi otri di vino e mangiando salsiccie e salami fino a ruzzolare addormentati sotto ai tavoli.
La mattina dopo, ancora con le teste martellanti a causa della sbornia, furono risvegliati da una carica di trombe.
I cavalieri del re avevano circondato la grotta, dando l'assalto alla banda che per anni aveva terrorizzato tutta la regione.
Il grande e temuto brigante Agenore sentitosi braccato, si arrese quasi subito come se fosse una donnicciola, cosa che fece dubitare tutti quanti sull'aver scelto a suo tempo un buon capo.
A dirla tutta però, Agenore o forse dovrei dire Angelica, una donniciola lo era per davvero.
La principessa Angelica, che non voleva sposare il principe Augusto, aveva messo in scena il suo rapimento proprio la sera del gran ballo,
così facendosi dei gonfi e lunghi baffi con il crine del suo cavallo, era diventata quel lestofante di Agenore, dandosi alla macchia verso i boschi, con tutta l'intenzione di mettere in piedi una banda di briganti.
Basta con le buone maniere!
Ma torniamo alla grotta dei briganti, dove caduti i baffi di crine dal viso di Angelica, il cavaliere con il cavallo nero riconobbe la principessa.
La voce si diffuse immediatamente tra le fila dei guerrieri, finalmente dopo così tanto tempo, al re avrebbero potuto recare la più felice tra le notizie.
- Angelica è stata ritrovata!
E fu proprio così.
Al castello venne preparato tutto per il rientro della principessa rapita dai briganti, tenuta prigioniera in quella grotta per così tanti anni che il re e la regina ormai erano entrambi bianchi e gobbi.
In tutta la regione si dichiarò festa con la promessa che nessuno avrebbe pagato gabelle per almeno due mesi.
Ma la povera Angelica si ritrovò suo malgrado, nella situazione da cui con tanta scaltrezza era riuscita a fuggire.
Il principe Augusto era ancora il suo promesso sposo, un gran peccato a dire il vero, visto che Angelica tra i suoi salvatori aveva scorto un uomo che le rapì il cuore dal primo istante.
Le era bastato un semplice sguardo per venire colta dall'amore.
Adolfo era un cacciatore, che conosceva così bene quei boschi da far da guida ai cavalieri.
Con il suo muoversi veloce tra gli alberi, senza perdere mai il senso del dove fosse, portò i salvatori dritti alla caverna dei briganti e sé stesso al centro del cuore della principessa.
Al castello la principessa rimuginava sulla sua situazione.
Come avrebbe potuto farla franca questa volta?
Forse invece di mentire avrebbe dovuto dire il vero.
Anche se voi adesso state pensando che il vero non l'avrebbe salvata, perché sostenere di non amar davvero un principe è di poco conto di fronte alla volontà di un vecchio padre, vi dico che vi state sbagliando, perché a dirla proprio tutta, Angelica non era una principessa e non era neanche una donna, ma bensì un cane.
Quel cane aveva girato il mondo.
Era un artista nel suo genere, viveva al circo e grazie ad esso mangiava tutti i giorni.
La sua specialità da sempre era stata quella di muoversi aggraziato sulle sole zampe posteriori, tanto da essersi guadagnato il nome di Principessa.
Lo spettacolo andava in scena di piazza in piazza, scatenando le risa dei bambini, che si divertivano come matti a vedere Principessa, vestito di tutto punto da damina, fare il giro tra la gente a raccogliere le offerte nel piccolo paiolo che reggeva in bilico sul muso.
Quando un giorno i saltimbanchi furono chiamati a far divertire il re, la regina e la principessa, successe proprio un grosso guaio: la principessa per le troppe risate, si sentì male e morì seduta stante.
Quei poveri commedianti per non finire dritti sulla forca avevano pensato bene di lasciare lì Principessa, sperando che nessuno si accorgesse di quell'insano scambio.
Il piano funzionò e da quel giorno, se i saltimbanchi ebbero salva la vita lo dovettero al sacrificio di Principessa, che continuò a recitare per anni quella parte.
Ecco come la verità l'avrebbe potuta salvare, poiché Adolfo che era un cacciatore, di sicuro aveva bisogno di un cane e al contrario di quello che ci possiamo immaginare, fu proprio l'uomo ad "innamorarsi" dell'animale.
Così senza che nessuno chiedesse alcuna spiegazione ad entrambi, Adolfo ed il suo cane lasciarono il castello.
I festeggiamenti continuarono anche se non si riusciva più a trovare la principessa.
Che bella la vita all'aria aperta, correre con tutte e quattro le zampe, rinunciando finalmente a quella scomoda postura da essere umano, senza fingere più ed essere davvero sé stessi.
Con il naso teso a terra Artù seguiva la pista, scovava le lepri e recuperava i fagiani, Adolfo finalmente non era più solo.
Poi però uno stupido sasso fu tradì il cacciatore, che scivolando finì dritto in fondo ad una scarpata, si ruppe il collo e terminò così la sua storia.
Artù rimase solo.
Solo come un cane.
Se ne andò vagando senza una vera e propria meta per i boschi, con la fame nello stomaco e Adolfo nella testa, nei pensieri semplici e senza finzione del migliore amico dell'uomo.
Camminò tanto sulle sue quattro zampe, fino a che non si spinse così lontano da non riconoscere più i luoghi intorno a sé.
Giunse ad una catapecchia malferma e fu allora che la vide.
Una donna stava zappando la terra, facendo fin troppa fatica in quel lavoro da uomo.
Fosse stato solo quello, sarebbe andato tutto bene, ma per far andare avanti un campo non solo bisogna zappare, ma anche seminare, irrigare, tagliare, raccogliere e riprendere tutto da capo.
Troppo lavoro per una donna così minuta.
Se Artù fosse stato un cane, probabilmente non ci avrebbe neanche fatto caso, gli sarebbero bastate due coccole per tirare avanti, ma anche se voi non ci crederete, Artù in realtà non era un cane ma un contadino che si chiamava Agenore, che tanto tempo prima aveva un bel gregge di pecore.
Le pecore di Agenore, penso si possa sostenere, erano le più indisciplinate di tutta la regione, tanto che il povero contadino si dovette ingegnare per tenerle tutte insieme.
Così gli venne in mente di buttarsi addosso una vecchia pelle di cane, di rannicchiassi a quattro zampe e di mettere un po' d'ordine tra quelle indisciplinate.
Fino al giorno in cui non arrivò il circo in città.
Agenore quando vide la donna nel campo si levò la pelle del cane di dosso e la raggiunse scendendo la collina.
Si parlarono, si conobbero, si fidanzarono.
L'uomo sentì da subito di amarla così tanto che di sicuro ci avrebbe fatto almeno dieci figli, e nulla gli sarebbe importato se un giorno con l'esattore alla porta, avrebbero dovuto sborsare quei fiorini guadagnati con il sudore di entrambi.