giovedì 23 maggio 2013

Ho o non ho - (carte estratte: 1 15 17 - tiraggio di Giovanna B.)



- Ti propongo una sfida. - disse il diavolo - Finché riuscirai a fissarmi dritto negli occhi, ti darò tutto quello che non hai.

Le premesse per un buon affare c'erano tutte, così senza farselo ripetere due volte, Gildo che era un mercante di grande talento, cominciò a puntare le sue pupille dritte e fisse nelle cornee di quel povero diavolo.
Per l'uomo, che ogni giorno era abituato a vedersi sfilare davanti persone di tutte le estrazioni e forme, quell'atto che forse dal diavolo era considerato così straordinario, si dimostrò per Gildo la norma.

Lo fissò pertanto così intensamente negli occhi da mettere quasi in imbarazzo quel demonio e poiché una promessa è pur sempre un'accordo, dal quale proprio un signore oscuro per sua natura non può distogliersi - così come in quell'arrangiamento - si vide costretto a dare al mercante ciò che non aveva.

Questa si che fu di per sé un impresa molto più ardua rispetto a quella di sostenere uno sguardo, perché ad ogni proposta di nuovo umore od oggetto, pareva proprio che Gildo già l'avesse.

- Ciò che non hai perché non vedo, è una matassa d'oro.
- Ce l'ho! - disse Gildo - Non è proprio puro oro, ma sta qui nei miei capelli. Me lo diceva sempre mia madre: son d'oro i tuoi boccoli.

Di sicuro non si poteva negare che non fosse vero, il biondo dorato di Gildo, faceva capolino da sotto il copricapo, così il diavolo dovette inventarsi qualche altra cosa che il commerciante non avesse, per poter mantenere la promessa fatta.

- Ciò che non hai perché non vedo, son spaventosi denti a punta per atterrire e far cader nella follia il tuo nemico.
- Ce l'ho! - disse Gildo - non son proprio denti, ma sempre bianchi e d'avorio appaiono: sono i dadi che ho con me in tasca. Bastan pochi lanci giusti per far diventar un uomo pazzo e se sei abile di mano, te l'assicuro, che di folli ne posso far diventare tanti da riempire i sanatori.

Mantenere quella promessa, per il diavolo pareva molto più complesso che sostener lo sguardo di un mercante e forse per inesperienza, data la sua giovane età, quel demonio commise un altro errore.

- Ciò che non hai perché non vedo, sono lame affilate, che possano tagliare in due chiunque ti sbarri la strada.
- Ce l'ho! - disse Gildo - Se qualcuno mi blocca il passo, impedendomi di raggiunger la meta, basta che gli chieda gentilmente di spostarsi. Sai caro diavolo, la mia lingua morbida ne ha tagliati già parecchi.

Povero demonio, pareva proprio che avere e non avere fossero quasi la stessa cosa, dovette così azzardarsi in molti altri modi.

Ciò che non hai perché non vedo, son scarpe nuove, son borse sempre piene, son carote dolci, son corde che non si sciolgono, son ore infinite, son bicchieri d'acqua per spegnere il fuoco…

Niente da fare pareva proprio che Gildo avesse già tutto, e la fila diventava sempre più lunga, la gente cominciava a spazientirsi non potendo accedere al banco del mercante.
Così tra uno spintone ed un altro e una secchiata d'acqua in testa, spensero infine i buoni propositi del diavolo, che tra tutte le cose che quel giorno avrebbe potuto avere, si dimostrò proprio privo del buon senso di non far arrangiamenti con un esperto commerciante.

venerdì 3 maggio 2013

Molti ma molti mattoni - (carte estratte: 16 7 21 - tiraggio di Ilaria B.)



A pensarci bene, tra mattoni, tegole, legni da infissi, vetri e cocci, la casa di Ida ne aveva di pezzi, almeno uno per ogni capello che le cresceva in testa.
Questo che ai più potrà sembrare un paragone strano, per la ragazza divenne cosa seria, perché il primo giorno che provò ad andare un po' più lontano del suo giardino si rese conto che i propri capelli rimanevano impigliati in ogni dove.

Certo è cosa davvero bizzarra, come se casa e capelli fossero poli magnetici che si attraevano tra loro per volontà e per caso.

- Ahi! Ahhhahii!

Erano ormai soliti sentire i vicini di casa, che ad ogni passo che Ida faceva più in la del balcone, c'era sempre una finestra che sbatteva, una porta che cigolava, una trave troppo bassa sulla quale ci si andavano ad aggrovigliare le sue ciocche.

- Maledetti voi capelli! Anche io vorrei poter viaggiare e vedere il mondo con i miei occhi.
Se la prendeva Ida con la sua folta chioma allo specchio e quella lunga tiritera ormai per lei aveva sostituito la preghiera della sera.
- Forse domani, vedrete che ci riesco. Fosse anche solo che mi capiti di diventare calva.

Come era gelosa quella casa di Ida, di lei che aveva mille viaggi in testa, mille progetti, mille modi di volersi pettinare ed invece era sempre costretta a venire a patti con quelle mura impiccione.
Ogni tentativo era vano e per tornare a quello che vi narravo all'inizio, cominciò a pensare che forse in quella casa ci fosse un mattone, tegola o singolo infisso che fosse per una qualche bizzarra ragione fratello di ogni suo capello.
Fratello, cugino, genitore, da quando era rimasta sola, quella casa li aveva sostituiti tutti e guarda caso proprio da lì tutto era cominciato.

Poi un giorno a bordo di un carro arrivò il suo futuro amore. Si chiamava Manlio e del viaggio ne aveva fatto virtù, sempre mosso da coraggio e spirito d'esplorazione, le sue ruote erano ormai diventate come gambe, tanto che dal carro non scendeva mai.
A Manlio piaceva vedere il mondo da quell'altezza, in piedi sul sedile frustava con delicatezza i due cavalli e proprio in piedi sul sedile sentì un certo giorno, parlare Ida allo specchio. Le orecchie del ragazzo arrivarono giuste giuste al bordo della finestra del secondo piano.

- Maledetti ed ancora maledetti! Ma mi volete lasciare una volta tanto vedere oltre il melo in giardino?
Era il momento della tiritera.
- Ma cosa vi ho fatto di male che mi tenete come un canarino in gabbia?
- Ah che bella chioma signorina!
Gli fece Manlio dal bordo della finestra, che oltre che le orecchie in piedi sul carro, anche gli occhi ci arrivavano benissimo.

-Ahhhhhhh!
Per tutta risposta a quella improbabile invasione fuori dal piano rialzato - seppur con discrezione Manlio, in piedi sul carro, era rimasto sulla via - all'urlo seguì un bel colpo di spazzola in piena fronte, ma non per desiderio di volerlo pettinare, ma per reazione istintiva della folta Ida.

- Chi siete? Orribile spione!
Povero Manlio, steso giù sul carro dopo quella botta in testa, trovò a fatica le parole per giustificarsi.
- Passavo di qui come al solito, in piedi sul mio carro e non ho potuto fare a meno di ascoltare le vostre pene.
- Via subito di qui brutto cialtrone perdigiorno! Che io ho tanti di quei problemi con i mattoni ed i capelli che voi neanche ve lo potete immaginare.
Gli fece Ida sporgendosi dalla finestra, mentre rimaneva coi capelli impigliata alla maniglia.
- Ahi Ahiii ihhhiiii!

Fu davvero un bell'incontro questo loro primo, non dissimile dai tanti patimenti che soffrono all'inizio tutte le coppie.
Capendo che da quelle parti non tirava una buona aria, Manlio steso sul carro decise di proseguire, lasciando Ida a sciogliersi i capelli dalla finestra.
Quando il carro raggiunse una ragguardevole distanza, l'uomo si tirò di nuovo in piedi.
- Certo che quella ha proprio un diavolo per capello.
E massaggiandosi la fronte, gli cascò l'occhio sulla spazzola rimasta sul carro.
Manlio essendo un cuor gentile, decise che il giorno dopo sarebbe tornato dalla ragazza per restituirle l'oggetto, forse avevano iniziato con il piede sbagliato, si sarebbe scusato di quella intrusione e avrebbe cercato di trovare la pace.

Inutile dirvi che non andò proprio così, perché quando Manlio il giorno dopo si affacciò nuovamente alla finestra per rendere la spazzola ad Ida, per tutta risposta si prese in testa un portagioie bello robusto, preceduto dal solito grido della ragazza.
- Ahhhhhhh! Spione sfacciato!
E giorno dopo giorno, Manlio riuscì a collezionare sulla fronte anche un paio di cucchiai in legno, un comodino, la testiera del letto, qualche mattone del camino.

Pezzo dopo pezzo mezza casa finì sul carro e Ida una bella sera, di fronte al suo specchio pronta e sgranare come un rosario la solita tiritera, si accorse che alcune capelli particolarmente ribelli, puntavano come l'ago di una bussola verso l'esterno della casa.
Quel ciuffo di capelli era rimasto impigliato come ad un filo invisibile che riconduceva agli oggetti finiti prima sulla fronte e poi sul carro di Manlio.
Da quel giorno tirare cose in testa al ragazzo fu un piacere, proseguì così con porte e portone, finestre e tegole, assi e travi ed ogni dì Manlio inarrestabile tornava per curiosità ed amore a quella casa, pronto a restituire qualcosa ma anche a ricevere in testa qualcos'altro.
Lanciato anche l'ultimo pezzo della casa, Ida fu finalmente libera e poté infine saltar giù anche lei dalla finestra che ormai non c'era più.
Questa volta Manlio non la prese in fronte, ma tra le braccia.
Nessun confine, nessun muro né porta che potesse ormai impedire alla ragazza di varcare la soglia del mondo intero.

I due cominciarono un viaggio lunghissimo insieme, andando a seminare per il globo ogni singolo mattone, così che quella casa non fosse più in un solo posto e che quella bussola che Ida aveva in testa, potesse da quel giorno puntare verso tutti gli orizzonti.
Ida e Manlio viaggiarono felici in ogni dove, la ragazza aveva trovato la libertà pagando soltanto un piccolo prezzo: l'aver sempre i capelli ritti e tesi in ogni possibile direzione.

venerdì 26 aprile 2013

Ad Ada - (carte estratte: 21 17 16 - tiraggio di Anna R.)



Sulla collina fanti a cavallo schierati in attesa di un cenno della loro signora, pronti ad offendere il nemico seguendo quella precisa strategia che lei aveva vergato settimane prima su pergamena… subito dopo le cosce e le costine d'agnello, il vino, la musica e i canti: la battaglia era vinta, anche se ad Ada non era ben chiaro come fosse successo.

E' possibile fare qualcosa senza sapere come la si è fatta?
Arrivare come un fiume al mare, senza aver presente che valli si sono percorse?
Ada aveva ormai afferrato questo concetto o per lo meno ne era stata afferrata da qualche mese e senza rendersene ben conto, riusciva a completare qualsiasi impresa nella quale si prodigava. Fu così che la sua fama divenne via via sempre più solida e da semplice contadina si ritrovò per l'appunto alla testa di un intero esercito.
Ma andiamo con ordine, sempre che un ordine vero in questa storia si possa sperare di ottenere.

Ad Ada veniva in mente di alzare la zappa… il campo era ricco di frutti.
Ad Ada capitava di piantare un chiodo… la casa era edificata.
Ad Ada chiedevano di andare al fiume… tutti i contadini indossavano vestiti freschi di bucato.
A lei ormai tutti domandavano qualcosa, perché così come aveva cominciato aveva già finito.

Fu per questa ragione che si ritrovò sul colle alla testa dell'esercito, erano ormai giorni che i cavalieri facevano mille ipotesi su come poter affrontare l'attacco imminente e - chiamatela cattiva politica o non so più che pesci pigliare - ai nobili signori non venne in mente altro se non di chiedere ad Ada di levarli da quell'impiccio.
A lei che tutto riusciva bene senza saperne il come, in principio parve un'idea folle, Ada che faceva fatica a schiacciare una mosca, come avrebbe potuto spazzare via un intero esercito rinforzato di solide armature, picche, cavalli e trabucchi su ruote?

Passò giorni a studiare i modi per vincere la battaglia, riportando scrupolosamente su pergamena ogni sua idea.
- Lo potremmo incendiare con la pece calda… o forse far cadere nel burrone… lo potremmo affrontare al valico della lucertola… o per meglio ottenere una vittoria schiacciante convincerlo a tornare indietro con le buone.
Ogni idea che tirava fuori, era stata già detta, pensata decine di volte da qualcun altro, fatta e rifatta da altri eserciti prima del suo.
Ad Ada venne il sospetto che questa volta si era andata davvero a cacciare in una questione più grande di lei e se anche era vero che ormai alzare una zappa, piantare un chiodo o fare un semplice giro al fiume aveva prodotto risultati prodigiosi, qui si stava per improvvisare un'impresa che per lei non aveva precedenti.
Fu un misto di fiducia ed incoscienza che la portò in quella fredda mattina d'inverno sulla collina.

Il vento gelido, un brivido, l'esercito nemico che appare all'orizzonte.
Ada alza il braccio pronta a dare il segnale, sa come inizia, sa come finisce, ma non ne sa il come.
Giù il braccio! Il segnale!

Quello che alla fine contò davvero, fu la festa che ne seguì, furono i canti ed i balli, la corona d'alloro che si riserva solo ai grandi condottieri e furono i racconti che tutti quei combattenti fecero di ciò che era accaduto in battaglia a fare questa volta la differenza.
Si perché per la prima volta, qualcuno aveva visto come erano andate le cose, aveva visto quello che capitava ad Ada quando saltava dalla A alla Z.

- Quale ingegno ha dimostrato la nostra signora! Svolgere tappeti e lenzuola verdi, per coprire i crepacci… Ahhhhh le grida di quei maledetti che si schiantano al suolo, risuonano ancora nelle mie orecchie.
Sosteneva Frido "il senza cuore".

- Edificare un castello di cartone proprio di fronte a quello vero, per stancare il nemico! Un'eccellente strategia mia dama! Alzo il calice in vostro onore, nonostante il mio braccio sia pesante come il marmo a forza di affondar la spada in centinaia di schiene indifese.
E giù il vino nella gola di Guglielmo "dalle cento ombre".

- Enormi specchi! Chi lo avrebbe mai potuto pensare? Se chiudo gli occhi li vedo ancora adesso cavalcare via terrorizzati. Trovarsi di fronte ad un esercito con la propria stessa faccia, dev'esser stato per loro il peggior incubo realizzato. Lunga vita ad Ada!
Anche Nicola "dai due nasi" fece il suo personale racconto di come erano andate le cose.

E poi enormi gomitoli di chiodi fatti rotolare dalle colline, trabucchi sotterrati che invece di scagliare massi rispedivano a casa i nemici che vi mettevano il piede sopra, si parlò persino di tende in cui si offriva al nemico cibo di ogni genere così che poi con le pance piene desistesse dall'attaccare, seguirono i racconti di Nerino "doppia lama" pieni di armature taglienti, che si intrecciavano a quelli di Filippo "la roccia" e le sue pietre che rotolavano giù per le colline, quelli di Orso "riempi fossi", di Victor "dei veleni", di Edgardo "inghiotto nelle nebbie".

Ad Ada non era molto chiaro come fossero andate le cose, nessuno di quei racconti coincideva l'uno con l'altro, né tanto meno con qualcosa di logico, parevano piuttosto una serie di ipotesi, niente di così diverso da ciò che la donna aveva fatto per settimane sulle pergamene: tante ipotesi.
Ipotesi lontane dalle sue che erano tuttavia banali, ipotesi che parevano nate da un'altra testa pensante.

- Come lo chiamerò?

Più che una battaglia tutto ciò ricordava le prove di uno spettacolo teatrale, dove il capocomico e gli attori improvvisano abbandonandosi nel regno di tutte le ipotesi, sapendo solo come comincia una storia e come deve andare a finire.

Inizia che Ada sa come inizia, che non si ricorda cosa c'è nel mezzo e che finisce che scopre di essere incinta, incinta di un bimbo che valuta tutte le ipotesi e le prova dal vero, che ascolta tutte le versioni improbabili prima di decidere quale sarà la sua storia da grande.
E a volte ci ripensa ancora adesso che è adulto, che sa come la vita inizia e finisce in modo sempre uguale e così per darsi un tono, sostiene che nascere è un atto di semplificazione, poiché tutte le ipotesi di come sarà il percorso diventano da quel momento concrete, lasciando spazio a quell'unico viaggio ormai probabile.

domenica 10 marzo 2013

La fisarmonica - (carte estratte: 0 19 14 - tiraggio di Pamela L.)



Se Perla guardava fuori dalla finestra in una mite giornata di sole, vedeva sia la tempesta che la siccità più nera.
Da sempre aveva visto le cose in questo modo per una strana malformazione ai suoi cristallini e se teneva stretto l'occhio destro, col sinistro vedeva ogni aspetto bello che c'è nelle cose, mentre con l'altro occhio solo il brutto le rimaneva impresso.

Molti medici si erano avvicendati per cercare di venirne a capo, ma a nessuno era mai stato concesso di essere agli occhi degli altri, il più furbo; così che se Perla guardava il professor Terlizi con l'occhio sinistro mentre era chino su di lei per visitarla, gli si presentava davanti un uomo che aveva dedicato tutti gli studi della sua giovinezza agli altri, ma appena lei strizzava l'altro occhio, quel che aveva davanti era un uomo ormai mosso solo dal denaro.

Quella sua particolare condizione, non le aveva mai permesso di vedere le cose come lei avrebbe desiderato, i suoi occhi sempre tesi tra due opposti le svelavano un mondo fatto di contrasti, dove anche i bambini non erano solo esseri puri, ma capaci altresì di odiare, imporre e godere; dove chiunque era in grado di mostrare senza inibizioni al suo sguardo, il massimo bene che aveva realizzato, così come la peggior sozzura.
Negli anni aveva imparato a ponderare una media per capire chi avesse di fronte.

Fu un giorno di marzo che accadde qualcosa che non aveva visto mai.
Ai bordi di un marciapiede vi era un suonatore di fisarmonica, con tanto di cappello al rovescio appoggiato sull'asfalto per le offerte.
Le sue dita scorrevano veloci sui tasti e per ogni persona che passava lì davanti, quell'uomo riusciva ad improvvisare una melodia che catturava.
Ad occhi chiusi continuava a suonare con il capo chino sullo strumento, veloce ed adagio a seconda del momento e in lui non c'era niente di opposto: agli occhi di Perla aveva un solo aspetto.

Fu un esperienza completamente nuova per la ragazza, di fronte al suonatore non era costretta a strizzare un'occhio dopo l'altro, finalmente in lui vedeva esattamente ciò che tutti normalmente vedono.
Incuriosita, Perla gli si parò davanti, come a voler entrare con decisione nel suo campo visivo, nonostante quello tenesse gli occhi chiusi.
La musica si fermò.
L'uomo alzò il capo.
Aprì gli occhi e la guardò.
Poi sorrise.

Di monete nel cappello non ce n'erano molte, di pezzi nella fisarmonica un'infinità.
- Sai che la tua melodia è fatta di silenzi?
Le disse l'uomo.
Perla continuava ad osservarlo, spostando la testa come si fa quando si guarda qualcosa per la prima volta, scrutandolo con un misto di meraviglia e sospetto, mantenendone una certa distanza.
- Riesco a vederti come se fossi uno solo.
L'uomo si guardò oltre le spalle, come se la volesse bonariamente prendere in giro.
- E quanti altri dovrei essere?

Spiegare se stessi al prossimo è un'impresa tra le più ardue, e Perla questo lo sapeva bene, abituata a fare di ognuno l'incontro tra gli opposti.
Il suonatore però aveva compreso tutto di lei poiché lei non generava neanche una singola nota.
- Anch'io sono come te, vedi! Le mie mani adesso non si muovono, tu sei al centro e fatta di silenzio. Anche per me è la prima volta che ho di fronte qualcuno che percepisce gli opposti. Tu attraverso gli occhi, io con le mani.

Il suonatore di fisarmonica cominciò a suonare nuovamente, al passaggio di altre persone, melodie sempre differenti, alcune allegre e altre struggenti; erano le sue mani a percepire gli opposti di quelle persone ed ogni minima variazione tra il meglio ed il peggio, quando gli sfilavano dinnanzi, producevano la loro canzone.
Così un semplice impiegato diventava pura musica, poiché è nel rapporto di distanza tra i suoi estremi che veniva generata quella melodia.
La fisarmonica è strumento degli opposti, che in una danza si avvicinano ed allontanano generando al centro del mantice il suono.

Perla comprese in quel momento, che ciò che aveva visto nelle persone fino a quel giorno era la loro totalità e non poteva né doveva cadere nel tranello di pensare che fossero la media tra due opposti.
Bene e male li vide per la prima volta come una danza.

Mise una moneta nel cappello del suonatore e poi se ne andò via, sapendo che più si allontanava da quell'uomo più avrebbe allontanato il "cantabile" dalla "bottoniera".
Un giorno si sarebbero riavvicinati, per produrre ancora una volta, il suono del silenzio.

domenica 24 febbraio 2013

C'era una volta… ma una volta sola - (carte estratte: 17 12 9 - tiraggio di Agata S.)



C'era una volta Alba che voleva solo cominciare, intrigata così tanto dagli inizi pensava che nulla avesse senso nei finali.
Come biasimarla del resto, finire fa paura un po' a tutti; e rese chiare da subito le sue intenzioni per il peso del suo stesso nome, tutto iniziava e mai nulla finiva.

C'era una volta Alba che per lei era sempre lunedì, si svegliava la mattina quando il sole sbucava appena oltre l'orizzonte, si lavava nel catino e poi apriva la bottega, andandosene via a mezzogiorno e non chiudendo mai la porta.
Chi comprava le sue mercanzie ormai si era abituato a tutto questo e sapendo bene che non avrebbe ricevuto resto, pagava il prezzo giusto del pane, della carne e delle noci.

C'era una volta solo la primavera, perché per Alba era inutile che arrivasse l'estate. Che senso aveva? Si stava così bene quando il giorno scaldava abbastanza e non troppo poco.

C'era una volta sua padre, che non poteva morire in pace, stanco di un'intera vita al mulino, si ritrovava ogni lunedì a pestare il frumento sotto alla macina. Non dimentichiamoci che c'era anche una volta di Alba la madre, che lavava al fiume i panni sporchi, senza potersi mai alzare, china a sfregar vestiti in quell'eterna primavera.

C'era una volta un villaggio che si cominciava a stancare, che aveva perso la speranza di vedere un martedì, di pensare anche solamente che un bel giorno potesse nascer storto.

C'erano una volta decine di madri, con le lunghe gravidanze sulla pancia, che si lasciavano però alle spalle almeno diciotto mesi di gestazione e il loro unico svago era quello di stare in piazza, a raccontarsi da quanto tempo i loro mariti erano partiti per andar nei campi. Del resto era quasi mezzogiorno, forse li avrebbero rivisti da lì a poco. Le minestre erano sul fuoco, caldo almeno da far quasi fondere il ferro.

C'erano una volta dei c'era una volta, che si erano stufati di leggersi i c'era una volta e tutti quei c'era una volta si resero conto che dovevano trovare una soluzione per arrivare ad una fine.
Di fare un'assemblea cittadina al calar della sera, per decidere come uscire da quella bizzarra situazione, era cosa assai improbabile, per cui tutti insieme a metà mattina andarono a chiedere al saggio del villaggio, come far finire quell'assurdo ritornello senza mai strofa.
Il vecchio che viveva al centro del bosco, li accolse a braccia aperte e nella sua casetta scalcinata, sembrò trovare subito un rimedio.
-Voi domani che è lunedì, con i soldi giusti in mano per non dover ricevere alcun resto, andate da Alba, comprate pane, carne e noci come sempre, pagatela, ma questa volta chiedetele di consegnare la merce qui a me. Vi assicuro che non ci sarà bisogno di nessun altro "c'era una volta".

Il giorno dopo, c'era una volta Alba che aveva un negozio nella piazza del villaggio, che ricevette a metà mattina la visita di tutti gli abitanti di quel borgo.
Questi avevano fatto una colletta per comprar da lei pane, carne e noci, pagarono il giusto prezzo senza aver bisogno di resto e le diedero il compito di consegnare la merce al vecchio saggio, nella sua casettina in mezzo al bosco.
Alba controllò che non fosse ancora mezzogiorno e messi sulle spalle i tre sacchi con la merce, si incamminò verso il centro del bosco, ma quando arrivò a un terzo del percorso, la ragazza posò i sacchi in terra pronta a tornare indietro senza finire.
Si allontanò.

Alle sue spalle un allegro cinguettare, attrasse la sua attenzione, al che si voltò in tempo per vedere un gruppo di passerotti che si erano lanciati sul sacco del pane, festosi banchettavano con quel ben di Dio, senza farsi troppe domande su quale grazia gli fosse capitata.
Ad Alba quella per un attimo sembrò vagamente una giusta conclusione, che le riempì per un pochino di gioia il cuore, ma poi tornata in sé si affrettò indispettita a togliere dalla strada i tre sacchi: non poteva né voleva generare alcun tipo di conclusione, così con nuovamente il carico in spalla riprese a muoversi verso la casa in mezzo al bosco.

Percorso un altro terzo del cammino, si guardò intorno, lì non c'era proprio nessuno, poteva star tranquilla e dopo aver scaricato nuovamente i tre sacchi in mezzo al sentiero, voltò le spalle per tornare al villaggio.
Di uccellini non se ne sentivano i cinguettii, ma ormai quell'idea di un finale che non voleva accadesse, le si era così radicata nelle meningi che tornò indietro a vedere che fosse tutto a posto, che il suo gesto fosse anche questa volta inutile come tutti i lunedì.
Si sbagliava di grosso, perché la volpe silenziosa era scesa a valle per mangiarsi la carne che era nel secondo sacco.
- Maledetta togliti di lì! Non vorrai farmi finire qualcosa a mia insaputa!
E con un bel sasso e una discreta mira, Alba riuscì ad allontanare quel fulmine rosso.
Riprese i sacchi in spalla e si rimise in cammino.

Al terzo tentativo voleva non avere dubbi, così posò i sacchi in mezzo al sentiero e li ricoprì di foglie e rami, sperando che nessuno li trovasse.

Eviterò di farvela troppo lunga, poiché così come a voi vi è balzato in capo il sospetto che un terzo animale potesse entrare per concludere forzatamente questa storia, anche ad Alba venne lo stesso sospetto, e non passò troppo tempo che un gruppo di castori, in cerca di rami secchi e foglie per edificare una diga, si ritrovarono a sgranocchiare tante buone noci.
- E no! Allora me lo fate apposta!
S'infuriò Alba, che scacciati a suon di "Sciò!" tutti i castori, si rimise in spalla la mercanzia andandosene a gambe levate il più lontano possibile, verso il centro del bosco.

Inutile dire che ad aspettarla alla fine del sentiero, seduto comodo su un ceppo, c'era il vecchio saggio, che la accolse a braccia aperte prendendosi la merce e ringraziandola della consegna.
Alba rimase con un palmo di naso, dovendosene tornare a casa all'una di quel bel martedì d'estate.

sabato 16 febbraio 2013

Le tre storie dell'orologio - (carte estratte: 12 7 19 - tiraggio di Patrizia G.)



Avete mai sentito parlare delle tre storie dell'orologio?
Probabilmente no, perché si svolsero tutte al di fuori del tempo e quindi non accaddero mai.

La prima storia racconta di un impiegato, che fino alle sei e mezza del pomeriggio andava di fretta e dalle sei a mezzanotte si muoveva piano piano, poi fino alle sei e mezza del mattino dormiva poco, ma per arrivare al mezzogiorno gli ci voleva un eternità.
Ciò vi potrà sembrare davvero strano, ma se aveste avuto sott'occhio il suo orologio avreste capito il perché.
Era un orologio a muro, di quelli che si guardano in continuazione quando è ora di tornare a casa, ma quello lì aveva un difetto di fabbricazione: le lancette erano pesanti a tal punto che nel mezzo giro che andava dall'alto in basso - dal 12 al 6 - crollavano per la forza di gravità, poi per tornare entrambe a puntare verso l'alto - dal 6 al 12 - si trascinavano a fatica per risalire.
Certo non era per niente facile vivere in questo modo.
Pensateci bene, la notte passa in un lampo e con gli occhi ancora carichi di sonno dovete alzarvi per andare a lavorare. La mattina diventa infinita tanto che perdete almeno dieci chili prima di arrivare a pranzo e poter mangiare. La stessa regola vale per il pomeriggio che passa così in fretta che non ve lo potete neanche godere e infine per coricarvi a letto e come se passasse una settimana.

La seconda storia racconta di un altro uomo al quale non cresceva pelo, i capelli li aveva, ma di barba e baffi non se ne parlava, stufo di sentirsi considerato da tutti un ragazzino, decise di mettersi due bei baffi posticci per riempire il vuoto sotto al naso.
Ci appiccicò due lancette, spesse e nere, una per le ore che puntava verso destra e una per i minuti che virava a sinistra.
Sicuramente avrebbe fatto palpitare molti cuori con quei bei baffoni, ma appena provò a spostarsi di pochi passi si rese conto che le lancette cominciavano a girare; così se andava avanti, anche il tempo andava avanti - storcendogli dolorosamente il naso - se si fermava tutto si congelava e se provava a camminare come un gambero, tornava indietro insieme al tempo!
Andò male con le ragazze, poiché da quel momento fu sempre impegnato a non spostarsi troppo, per evitare di farsi scaccolare dalle lancette.

La terza storia racconta di un orologiaio distratto, che quando costruì per sé un orologio, si dimentico di posizionare sul quadrante il 12.
Bel guaio quello! Da quel giorno la sua mezzanotte e il suo mezzogiorno divennero solo un pallido ricordo.
Quelle due ore cominciarono a mancargli così tanto che per rimediare a questo divenne un ladro e cominciò a rubare a chi gli venisse a tiro il mezzogiorno e la mezzanotte.
Non era cosa insolita ritrovarselo in casa, che con aria furtiva ti portava via l'appetito o un ora di sonno.

La gente stufa di farsi rubare il tempo e che a differenza di voi aveva già sentito narrare delle tre storie dell'orologio, decise di mettere in atto un piano che poteva liberarli da quei tre impiastri.
Fecero così far conoscenza tra l'orologiaio, l'impiegato e lo sbarbato baffuto, ma lo fecero di mattina così che per arrivare a pranzo sarebbe passata un'eternità.
Beh! Ve lo dico senza tanto girarci intorno, ma quando fu mezzogiorno avevano tutti e tre il budello così tanto lungo che non pensarono proprio all'ora che stavano per perdere, si preoccuparono solo di mangiare.
Il primo giorno però non fu facile, perché tra che non avevano il mezzogiorno dell'orologiaio, ma neanche il pomeriggio per la pesantezza delle lancette dell'impiegato, si ritrovarono a sera senza aver mangiato.
Meno male che con loro c'era lo sbarbato, che a costo di farsi cadere il naso a forza di lancettate, camminò indietro fino alle dodici, si fermò e finalmente poterono pranzare.

E da quel giorno in poi, quei tre impiastri come in un perfetto orologio, trovarono il giusto ritmo per vivere la vita come la vivevano gli altri.
Strani meccanismi però crea la coscienza umana, io avrei rotto i tre orologi.

sabato 2 febbraio 2013

Piccolino - (carte estratte: 14 3 1 - tiraggio di Angela S.)



Quando il re morì, fu il principe a divenire a sua volta re, aveva solo tre anni e la regina lo chiamava Piccolino.
Per un sovrano è un controsenso esser chiamato Piccolino, data la vastità del suo regno, ma in quel nome era nascosto un segreto che la regina conosceva bene.

Ella aveva amato con tutto il cuore quel re morto di vecchiaia e benché le loro età fossero così distanti, per la giovane regina ciò aveva rappresentato soltanto una benedizione.
Quell'assenza le aveva svuotato il cuore e da quando nessuno la chiamava più "la mia piccolina", l'incantesimo si era infranto e "la regina in miniatura" era diventata "la regina madre", ritrovandosi da giovane a vecchia in poche ore.
Il potere dei nomi è un potere da non sottovalutare.

Piccolino non sarebbe mai morto, non avrebbe mai lasciato sola la regina madre, fintanto che lei lo avesse chiamato così.
Da quel giorno le guerre si fecero per capriccio, le udienze per farlo divertire e le esecuzioni per scoprire come le persone fossero fatte dentro, in una continua avanzata che espandeva il regno di Piccolino e restringeva quelli degli altri sovrani.
L'esercito di Piccolino resisteva, nonostante le sue fila ad ogni capriccio fossero sempre più esigue.
Con il nuovo re non era possibile essere diplomatici, le regole non valevano e quel sovrano che dopo quattordici anni di regno ne dimostrava ancora tre, venne riconosciuto come uno tra i più spietati tiranni della storia.
Tutti i regni lì intorno decisero allora di unirsi, per dichiarare guerra al più grande conquistatore di sempre.

- Non vinceremo mai contro tutti quegli uomini messi insieme.
Disse il consigliere alla regina.
- Vi prego mia sovrana, dovete rompere l'incantesimo che tiene il re in questa condizione, a nulla sarà valso chiamarlo Piccolino per tenere lontana la morte, poiché essa ora ha deciso di allearsi con il nemico.
La regina salì su tutte le furie per l'arroganza del consigliere.
- Voi siete solo uno stupido omino, piccolo e insignificante.
E così fu, il consigliere divenne un bimbo di tre anni.
Ecco la soluzione!
In quel momento capì che avrebbero vinto la guerra e quando gli eserciti si affacciarono all'orizzonte, la regina era già pronta sulle mura, per trattare quei guerrieri come pargoli.

Bambini ovunque, sui cavalli, con gli archi in mano, sulle scale che violavano le mura, bambini che invece di assediare il castello di Piccolino e portare la morte, ora se ne stavano senza capire bene dove fossero, frignando perché volevano soltanto tornare a casa.

Fu molto facile per l'ormai esiguo esercito di Piccolino eliminarli uno ad uno, come si fa con gli insetti che ci danno fastidio.
Fu molto più difficile invero, comprendere il senso di questa vittoria.