giovedì 16 agosto 2012

La minchia del parroco - (carte estratte: 5 21 13 - tiraggio di Alessandro S.)



Quando Don Angelo chiudeva gli occhi danzava.
Danzava allegro, compiendo ampi circoli senza l'abito talare, nudo, libero e fresco; a volte apriva un solo occhio per vedere un po' di fedeli e un po' di danza.
La musica lo aveva da sempre ispirato, tanto che nel punto più alto della sua predica domenicale, con slancio cercava sempre parole nuove per intonare qualche canzone; ed era ormai pratica comune tra i fedeli, seguire le melodie di Don Angelo, senza troppo preoccuparsi di regger in mano alcun librello.
Ma un grosso problema per il parroco venne a galla, il giorno che lui stesso si rese conto di aver “la minchia” in bocca.
Ora non vorrei che da ciò voi intendeste male, perché non si trattava affatto di cosa blasfema: “la minchia” di cui io parlo non è di sicuro ciò che ora voi state pensando, ma bensì la sola parola.
Si perché un giorno, di punto in bianco, senza sapere neppure da dove quella fosse giunta, Don Angelo si ritrovò a dir soltanto: - La minchia!
Come se quella avesse sostituito tutte le sue parole.
Oh Diavolo di un destino birbante!
Così se un fedele si mostrava devoto al padre, cercando una qualche sorta di assoluzione, rischiava di sentirsi dire “la minchia!” dopo aver vuotato il sacco davanti al suo confessore.
Che tragedia!
Don Angelo benché fosse pastore del signore, abituato ad aver confidenza con questioni “da pescatore”, a quel punto non seppe più che pesci prendere e rispondeva solo con un sorriso ed il gesto della croce, dispensando a destra e a manca più benedizioni di quante non ne fossero necessarie.
Ma nella sua testa, la risposta ad ogni domanda continuò a rimanere insistente “la minchia!”.
Potrei scriverlo di continuo: la minchia, la minchia, la minchia...
Più di cento o mille volte non basterebbe purtroppo a  farvi capire, quanto fosse il disagio del pover'uomo.
Ripercorrendo all'inverso il momento in cui si era ritrovato a ripetere per la prima volta quel mezzo mantra ed anatema, si accorse che accadde al terzo giro di danza della domenica precedente.
Lì con gli occhi chiusi, nel bel mezzo della predica ai fedeli, mentre ballava nudo nella testa per trovare parole sincere, si immaginò di far tre belle piroette ed alla terza si volse verso tutto l'imbarazzo che aveva in mezzo alle gambe: la minchia!
Se quando immagini qualcosa tieni gli occhi ben stretti, quella fantasia rimane tua per sempre, ma ad aprir anche solo di poco mezzo occhio piccolino, ogni tua idea si affaccia al mondo.
In quel preciso istante, con un occhio chiuso nell'estasi fantastica e l'altro mezzo aperto per ritrovare il concreto dei fedeli che ascoltavano la messa; quell'immagine fin troppo forte e che fa a pugni con la santità del Cristo, saltò fuori dall'occhio semiaperto per aggrapparsi alla bocca di Don Angelo.
“La minchia!” come conclusione della funzione, benché potesse esser piena di poesia, fu prontamente ingoiata dal prete per non deludere i suoi fedeli.
Ma da quel preciso istante lei cominciò a farsi strada dallo stomaco alla gola, fino a prendere dimora stabile sulla lingua del sant'uomo.
“La minchia” per un uomo di chiesa è un grave problema, che non poteva ancor per troppo tempo stazionare lì senza uno scopo ben preciso e anche se virtuosamente Don Angelo era uscito da quell'impiccio per tutta la settimana, alla predica della domenica, il popolo di Dio avrebbe voluto sentir da lui sante parole.
Giunse così il giorno benedetto e com l'abito talare indosso il prete fece il suo ingresso di fronte ai fedeli.
Sforzandosi così di nulla immaginare, tenendo gli occhi ben aperti per non doversi ritrovar nuovamente troppo libero a danzare; Don Angelo decise che fosse giunto il momento tanto atteso della predica: così cominciò com'era suo solito a cantare.
- Laaaaaa… Laaaaaa... Laaaaaaaa... Miiiiiiiiiinnnn... chiiiiiiiiiii... aaaaaaaaa...
e tutti in coro giù a cantar ancor più forte.
- Laaaaaaa… Miiiiiiiii... nnnnnnn... chiiiiiiiii... aaaaaaaa...
e poi ancora con più vigore, sino a far vibrare per suono pieno i vetri ornati della chiesa.
Così forte che noi tutti, presi dal canto non si bada alle singole strofe, rapiti dalla melodia che armonizza con lo spirito.
Tanto più grande è qualcosa, che si fa fatica a distinguerla, poiché gli occhi son troppo piccoli per trattenerla nel suo insieme.
Così da quel giorno, per Don Angelo e i suoi fedeli “la minchia” divenne della chiesa la più bella canzone.

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