sabato 12 maggio 2012

La canzone del viaggiatore - (carte estratte: 11 0 7 - tiraggio di Loredana C.)



Quando il viaggiatore giunse alle porte del paese, quello che da lontano gli era sembrato il campanile di una chiesa, si rivelò invece essere una donna che ingoiava spade.
Ella se ne stava lì ritta con la lama che le trafiggeva la gola, mentre elsa e guardia spuntavano appena fuor dalla bocca: come se fossero per l'appunto una croce.
In mezzo a qualche altro disgraziato accalcato lì per ammirare l'abilità della dama, il viaggiatore si fermò ad osservarla in quella posa per lui innaturale e quando la donna estrasse la spada, gli venne da chiedersi quanto in profondità poteva spingersi una lama senza ferire.
Egli che di cose nello stomaco ne aveva buttate giù parecchie, pensò fosse sciocco provare ad ingoiarne una senza prima masticarla.
Una volta per esempio, per troppa fame aveva mangiato una ruota abbandonata di carro, ma in principio l'aveva sbriciolata in pezzi piccoli; stessa cosa era valsa per le pietre incontrate qua e là, era solito mangiare quelle minute di fiume, che erano più facili da metter sotto i denti; aveva sgranocchiato qualche ramo; gustato la polvere della strada, per poi ritrovarsi a deviare dal suo cammino per trovare un rivo dove bere.
- Acqua…
Quel pensiero gli fece tornare alla mente tutta quella che aveva nelle vesciche dei piedi doloranti, che parevano otri gonfi pronti a debordare: consumate le scarpe ormai da giorni e camminando senza sosta, era così giunto alle porte di quella città.
- Vorrei provare anch'io a cacciarmi in gola quella spada, che è quasi l'ora del pranzo.
Disse il viaggiatore alla donna, che mentre riponeva nel fodero la spada tra gli applausi dei disgraziati, gli rispose senza neanche levare lo sguardo da quella.
- Se ti dessi la mia spada non me la renderesti, son sicura che sapresti solo cacciartela giù per la gola senza riportarla indietro.
Era vero! pensò il viaggiatore, che sino a quel momento non aveva fatto altro che provare ad immaginare quale potesse essere il gusto della lama, e come tutti coloro i quali vengono colti in fallo in mezzo ad altre persone, si sentì in dovere di dimostrarle il contrario.
- Non è vero! - Le disse di rimando senza esserne troppo convinto - il mio collo non è una via di sola andata… così come son bravo a mettere, so anche levare.
E si ficcò senza troppo pensarci una mano dritta giù per la gola, facendo tra quei canali una bizzarra scoperta: gli sembrò come fare un viaggio all'incontrario, dove la via che percorreva con le dita tese nel raggiungere lo stomaco, diventava un percorso inverso di memorie tattili.
Eh si! perché si ritrovò a toccar con i polpastrelli, tutta la polvere, le pietre di fiume, i rami sgranocchiati e i pezzi di ruota di carro che erano ancora lì; fino a che non raggiunse qualcosa che non si ricordava di aver mai ingoiato: due pezzi solidi e freddi, ricurvi ad U.
Tirarli fuori non fu del tutto facile come aveva millantato di saper fare, e  mentre il gruppo malconcio lo guardava con interesse, egli con sforzo enorme se li cacciò fuor dalla gola, producendo un suono molle.
Erano due ferri di cavallo, che adesso facevano bella mostra tutti sbavati nelle mani del viaggiatore, che con un certo orgoglio li mostrò alla mangiatrice di spade.
- Ben fatto! - Disse la donna. - Ora hai la tua spada.

Avere una spada può esser utile, magari mentre cammini vedi qualcosa di buono da mangiare che non riesci a raggiungere, e con quella ZAC! infilzi e te lo porti alla bocca; avere due ferri di cavallo lo è un po' meno, continuava a pensare il viaggiatore mentre ciondolava avanti e indietro per le vie del paese.
Non capendone un granché di cavalli e affini, e preso dalla rabbia li scagliò in un viottolo buio che scendeva a scalinata. Quelli sparendo alla sua vista cominciarono un allegro canto di ferro ballerino che va giù.
Al viaggiatore i piedi scalzi dolevano più che mai e mentre il dolore gli pulsava in testa, alle orecchie continuava a giungergli il suono dei ferri che cascavano di scalino in scalino, con tono sempre più grave e lontano.
- Al Diavolo anche loro! - Fece per andarsene… poi dopo un attimo. -D'accordo ci ripenso, a qualcosa mi saranno pur utili...
Così si ritrovò a scendere saltando due scalini per volta, perché gli era salita la paura di perdere quei ferri che rimbombavano cadendo.
Poi più nessun suono, e quando arrivò anch'egli in fondo, li riprese con sé. Si sentì come se avesse ritrovato un figliuolo smarrito, pieno di gioia si mise a ballar sul posto.
- Li ho ritrovati! li ho ritrovati! - Cantilenava allegro, ma il male ai piedi lo riportò alla sua condizione.
Ed ecco l'idea!
I ferri ricurvi potevano fargli da solidi calzari. Certo non si era mai visto nessun uomo ferrato con zoccoli da cavallo, ma a lui che importava: gli bastava poter mettere qualcosa tra il dolore e il pavimento.
Si allacciò così quelle scarpe di fortuna, con i lacci che solitamente teneva legati alla cintura.
A dir la verità i ferri erano proprio comodi, lo tenevano ben sollevato e protetto, e fatto qualche passo poté apprezzarne anche il piacevole fresco ai piedi.
Pronto così a risalir la scala fece il primo passo che pareva quello di un cavallo - clack! - poi un altro e un altro ancora, fino a che non ritornò sulla strada principale.
Quel suo allegro scalpiccio musicale, cominciò ad attirare l'interesse della gente, che fino a quel momento poca importanza aveva dato al viaggiatore scalzo, mentre ora qualche bimbo cominciò a ridere sentendo la melodia dei piedi, qualche donna si voltò a constatare il bel portamento che imponevano i ferri, e i cavalli non furono da meno al suo passaggio, facendo con il capo un certo inchino che solo tra cavalli ci si fa.

- Venite a sentire la canzone dell'uomo ferrato.
Gridava il viaggiatore girovagando ai margini della piazza, e cambiando ritmo nel suo passo, aggiungendo qualche salto e scivolata, cominciò a padroneggiar meglio quell'improbabile strumento; e se il metallo chiama altro metallo, ad ogni canzone corrispondeva il coro delle monete che finivano ai suo piedi.

Calò la notte e le strade si svuotarono, finché il viaggiatore non rimase solo con sè stesso.
Continuò a camminare per le vie, in cerca di un posto dove poter passare la notte, e ad ogni passo sentiva ancora la musica.
Ma questa volta era differente, perché non era una canzone per far moneta, ma una canzone solo per lui.

Non sono più in silenzio.

L'eco mi accompagna
e rimbalza sui mattoni,
prima di me.

Sono l'uomo che cammina sul metallo,
l'uomo che si fa sentire,
l'uomo che è sé.

Dove ho mangiato i ferri?
Dove ho camminato?
Dove ho messo i piedi?

Che sentivano il dolore,
senza farsi sentire.
Ora ho due voci,
perché ho la mia spada.

E se ne andò così cantando tutta la notte, rimuginando su quanto fosse strano sentire la propria stessa voce.
Non ci si abitua mai.
Provate a parlarvi da soli come se foste un altro, è facile e lo avrete già fatto tante volte, un po' sovrappensiero, un po' per gioco, o per sentirvi meno soli; alla fine, dopo qualche parola, c'è sempre un istante breve e prezioso, in cui si realizza che quello è proprio il timbro della vostra voce.
Ed è in quel momento che sentite un suono molle: avete afferrato la spada.

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