Nel momento in cui le acque decisero di saldare il conto con il nostro veliero, non ci fu più via di scampo.
L'oceano pareva un groviglio di corde che si stringeva attorno alle membra di un poveretto, tutto intorno alla nave si era scatenato un inferno di pece ribollente.
Gli uomini del capitano cercavano in ogni modo di domare quella bestia, ma tutto era vano, la rotta era persa, la speranza anche, e ogni singola trave cominciò a schiantarsi sotto la furia del mare.
Senza un'ancora non ci si può salvare, senza un punto fermo dove appoggiare i piedi si comincia a sprofondare, e quel mozzo lo sapeva bene, che chi fosse rimasto su quella nave sarebbe stato destinato a non tornare più indietro.
Fu così che spinse fuori bordo il più giovane fra tutti, perché gli si strinse il cuore pensando che quello avrebbe potuto toccare ancora una volta la terra ferma.
Il ragazzo cercò in ogni modo di rimanere a galla tentando di afferrare alla bell'e meglio una qualche trave che potesse fargli da supporto, ma l'acqua rendeva ogni cosa scivolosa, mentre il veliero si piegava su se stesso scendendo nella pece e sparendo prima ancora che il ragazzo potesse sbattere le palpebre.
Poi un dolore lo inchiodò e tutto divenne nero.
D'apprima fu solo silenzio, poi un rumore, e un altro seguito da un altro ancora, sembravano le onde; che per uno finito in mare non dovrebbe esser cosa rara, se non fosse che in mezzo all'oceano, senza una spiaggia su cui infrangersi, non può esserci il rumore del mare.
Il ragazzo aprì gli occhi, tutto intorno a se non più pece, ma sabbia bianca e fina, così impalpabile non ne aveva mai vista.
La sua ancora di salvezza la vide subito, era stata una delle tante travi della nave a fargli da puntaspilli, trapassata fino all'osso dalla sciabola del capitano, e tra la trave e l'arnese c'era la manica del giovane.
Ci mise un pò a liberarsi per tanto che la lama era calata nel profondo di quel legno, ma dopo uno schiocco di schegge il ragazzo era già in piedi a contemplare il riflesso del sole balenare sulla lama.
Ora entrambi i piedi poggiavano per terra e sollevarne uno voleva dire fare un passo, e uno dopo l'altro percorrere un cammino.
Camminando, il giovane, scorse oltre le dune della spiaggia qualcosa che pareva una testa mozzata.
Cominciò allora a correre in quella direzione e vi trovò un ragazzo, un altro, che era stato sepolto ben in fondo nella sabbia, gli spuntava fuori solo la testa.
Il ragazzo gli si avvicinò un pò di più e vide che era ancora vivo.
Subito ebbe paura, perché se quell'altro fosse stato un criminale, liberandolo lui stesso avrebbe potuto andar contro la legge, ma anche egli era appena stato prigioniero del mare e se non fosse per il mozzo, a quest'ora sarebbe stato a far da cibo ai pesci.
Si aiutò con la sciabola per scavare tutto intorno e tirò fuori dalla terra, quasi fosse un seme, l'altro ragazzo.
Il prigioniero sottoterra era stretto da corde che gli serravano tutto il corpo tenendolo bloccato, ma quando fu libero per la gioia cominciò a ballare e a saltare, tanto che il naufrago cominciò a chiedersi dove prendesse tutta quella energia; lui al contrario si sentiva esausto, tanto che non riuscì a trattenere la sciabola in mano che cadde sulla sabbia.
Il ragazzo allora si fermò, si avvicinò e dopo aver raccolto la lama lasciò libero il suo sguardo tutt'intorno, sino ad abbracciare il mondo intero, e dopo aver sollevato la sciabola sferrò il suo colpo più forte, così da tagliar di netto la testa del poveretto, che rotolò sulla sabbia.
Ora non più nella fossa, entrambi i piedi poggiavano per terra e sollevarne uno voleva dire fare un passo e uno dopo l'altro, percorrere un cammino.