venerdì 24 maggio 2013

Mia mamma mi aveva disegnato male - (carte estratte: 21 11 20 - tiraggio di Anna P.)



- Una donna non può avere il dono di riprodurre su carta, né tanto meno può esser maestra nell'arte dell'affresco.

Grosso modo eran queste le parole che venivan fuori dalla bocca del maestro, quando con mio padre a cena si tratteneva più del solito.
Non credo fosse il vino a farlo arrivare a certe conclusioni, quanto piuttosto una sorta di invidia verso mia madre, lei che era incinta di me, era l'evidenza del saper riprodurre; cosa alquanto difficile da apprendere per un maschio.
Così il maestro, per sostenere la sua tesi, le mise di fronte sulla tavola ancora imbandita, una pergamena bianca e sventolandole sul naso una piuma d'oca, la sfidò a disegnarmi come mi immaginava che sarei stata una volta venuta al mondo.
Va da sé che mia madre, che non aveva mai armeggiato con l'inchiostro, mi disegnò male.
Sette mesi dopo nacqui proprio disegnata male.

La mia infanzia non la dimenticherò mai, perché fu la tipica giovinezza che può vivere uno scarabocchio.
Non dovrebbe essere troppo difficile per voi immaginare come fossi fatta: due linee nere che si piegavano ad elle per gambe, un triangolo come busto che arrivava oltre le braccia, oltre le quattro o cinque dita - a seconda della mano che stavate osservando - e si univa al collo sottile, poi sopra c'era un cerchio grande, forse troppo, e un intreccio di giravolte di cotone nero, quello era il mio scarabocchio di capelli.
I bimbi non son di certo gentili e bastava che mi distraessi un solo istante per ritrovarmi con due virgole ricurve sotto al naso.
Non ho mai gradito portare i baffi, nonostante molti di quei monelli sostenessero che mi stavano proprio bene.

Mia madre si sentiva in colpa per avermi disegnata male e cominciò ad impratichirsi con le tinte fatte d'uovo, con i pennelli di crine e le tele.
Studiò ogni tipo di tecnica, pensava che ciò avrebbe reso più facile per me superare il fatto di essere un groviglio.
Per un po' funzionò anche, la vedevo lasciare il colore sul bianco e sviluppai un certo occhio per quel mestiere.

E' difficile vivere come uno scarabocchio quando vivi al tempo delle cattedrali, tra affreschi che lasciano spazio a far intravedere solo tratti morbidi e rotondi.

Cominciai pertanto anche io ad affrescare le chiese, ed era strano vederlo fare ad un intreccio di linee. Immagino quanto fosse bizzarro per un duca o un papa, vedere una matassa d'inchiostro che poneva santi, nuvole rotonde e colombe sullo stucco fresco.
Ma fu così che divenni grande.

Ogni pennellata descriveva un mondo coerente, concreto, profondo in ogni verso, ma sentivo che qualcosa mancava in tutto questo, sentivo che tutto quello che stavo mettendo sul muro mi era distante: non erano i miei disegni.

Mi venne in mente un giorno mentre mi osservavo allo specchio, cercando di immaginarmi con i tratti di un'affresco, di ripensare alla mia adolescenza.
Quei giorni mi avevano lasciato due cerchi in più.
Sopra al triangolo che avevo come corpo.
Quelli mia mamma non li aveva disegnati, perché mi aveva immaginata piccola e il concetto di seno su di me le era probabilmente ancora estraneo.
I due cerchi me li fece la natura, non mia madre.

E' strano pensare, nonostante quel bizzarro scherzo del destino, a quanto sia coerente la natura.
Io che ero uno scarabocchio ebbi in dono non due seni ma due bei cerchietti.
Devo dire la verità, fui contenta di quei rotondi essenziali, facevo davvero tanta fatica ad immaginarmi differente.
Pensate voi quale abominio sarei stata, tutta scarabocchio, a dover portar due seni veri.
Questo mi rincuorò, e per la prima volta cominciai a riconsiderare la mia coerenza.

Pian piano finì il tempo di vedere il mondo affrescato, compresi che la struttura di ogni forma è puro scarabocchio.
Avrei dovuto ricominciare da lì, accartocciando tutti gli studi fatti, tutte le notti perse con la schiena sulle travi a dipingere soffitti per far tacere il ricordo delle parole del maestro.

- Una donna non può avere il dono di riprodurre su carta, né tanto meno può esser maestra nell'arte dell'affresco.

Forse aveva ragione.
Senza confini certi, uno scarabocchio non è materia da stare immobile appesa al muro.

giovedì 23 maggio 2013

Ho o non ho - (carte estratte: 1 15 17 - tiraggio di Giovanna B.)



- Ti propongo una sfida. - disse il diavolo - Finché riuscirai a fissarmi dritto negli occhi, ti darò tutto quello che non hai.

Le premesse per un buon affare c'erano tutte, così senza farselo ripetere due volte, Gildo che era un mercante di grande talento, cominciò a puntare le sue pupille dritte e fisse nelle cornee di quel povero diavolo.
Per l'uomo, che ogni giorno era abituato a vedersi sfilare davanti persone di tutte le estrazioni e forme, quell'atto che forse dal diavolo era considerato così straordinario, si dimostrò per Gildo la norma.

Lo fissò pertanto così intensamente negli occhi da mettere quasi in imbarazzo quel demonio e poiché una promessa è pur sempre un'accordo, dal quale proprio un signore oscuro per sua natura non può distogliersi - così come in quell'arrangiamento - si vide costretto a dare al mercante ciò che non aveva.

Questa si che fu di per sé un impresa molto più ardua rispetto a quella di sostenere uno sguardo, perché ad ogni proposta di nuovo umore od oggetto, pareva proprio che Gildo già l'avesse.

- Ciò che non hai perché non vedo, è una matassa d'oro.
- Ce l'ho! - disse Gildo - Non è proprio puro oro, ma sta qui nei miei capelli. Me lo diceva sempre mia madre: son d'oro i tuoi boccoli.

Di sicuro non si poteva negare che non fosse vero, il biondo dorato di Gildo, faceva capolino da sotto il copricapo, così il diavolo dovette inventarsi qualche altra cosa che il commerciante non avesse, per poter mantenere la promessa fatta.

- Ciò che non hai perché non vedo, son spaventosi denti a punta per atterrire e far cader nella follia il tuo nemico.
- Ce l'ho! - disse Gildo - non son proprio denti, ma sempre bianchi e d'avorio appaiono: sono i dadi che ho con me in tasca. Bastan pochi lanci giusti per far diventar un uomo pazzo e se sei abile di mano, te l'assicuro, che di folli ne posso far diventare tanti da riempire i sanatori.

Mantenere quella promessa, per il diavolo pareva molto più complesso che sostener lo sguardo di un mercante e forse per inesperienza, data la sua giovane età, quel demonio commise un altro errore.

- Ciò che non hai perché non vedo, sono lame affilate, che possano tagliare in due chiunque ti sbarri la strada.
- Ce l'ho! - disse Gildo - Se qualcuno mi blocca il passo, impedendomi di raggiunger la meta, basta che gli chieda gentilmente di spostarsi. Sai caro diavolo, la mia lingua morbida ne ha tagliati già parecchi.

Povero demonio, pareva proprio che avere e non avere fossero quasi la stessa cosa, dovette così azzardarsi in molti altri modi.

Ciò che non hai perché non vedo, son scarpe nuove, son borse sempre piene, son carote dolci, son corde che non si sciolgono, son ore infinite, son bicchieri d'acqua per spegnere il fuoco…

Niente da fare pareva proprio che Gildo avesse già tutto, e la fila diventava sempre più lunga, la gente cominciava a spazientirsi non potendo accedere al banco del mercante.
Così tra uno spintone ed un altro e una secchiata d'acqua in testa, spensero infine i buoni propositi del diavolo, che tra tutte le cose che quel giorno avrebbe potuto avere, si dimostrò proprio privo del buon senso di non far arrangiamenti con un esperto commerciante.

venerdì 3 maggio 2013

Molti ma molti mattoni - (carte estratte: 16 7 21 - tiraggio di Ilaria B.)



A pensarci bene, tra mattoni, tegole, legni da infissi, vetri e cocci, la casa di Ida ne aveva di pezzi, almeno uno per ogni capello che le cresceva in testa.
Questo che ai più potrà sembrare un paragone strano, per la ragazza divenne cosa seria, perché il primo giorno che provò ad andare un po' più lontano del suo giardino si rese conto che i propri capelli rimanevano impigliati in ogni dove.

Certo è cosa davvero bizzarra, come se casa e capelli fossero poli magnetici che si attraevano tra loro per volontà e per caso.

- Ahi! Ahhhahii!

Erano ormai soliti sentire i vicini di casa, che ad ogni passo che Ida faceva più in la del balcone, c'era sempre una finestra che sbatteva, una porta che cigolava, una trave troppo bassa sulla quale ci si andavano ad aggrovigliare le sue ciocche.

- Maledetti voi capelli! Anche io vorrei poter viaggiare e vedere il mondo con i miei occhi.
Se la prendeva Ida con la sua folta chioma allo specchio e quella lunga tiritera ormai per lei aveva sostituito la preghiera della sera.
- Forse domani, vedrete che ci riesco. Fosse anche solo che mi capiti di diventare calva.

Come era gelosa quella casa di Ida, di lei che aveva mille viaggi in testa, mille progetti, mille modi di volersi pettinare ed invece era sempre costretta a venire a patti con quelle mura impiccione.
Ogni tentativo era vano e per tornare a quello che vi narravo all'inizio, cominciò a pensare che forse in quella casa ci fosse un mattone, tegola o singolo infisso che fosse per una qualche bizzarra ragione fratello di ogni suo capello.
Fratello, cugino, genitore, da quando era rimasta sola, quella casa li aveva sostituiti tutti e guarda caso proprio da lì tutto era cominciato.

Poi un giorno a bordo di un carro arrivò il suo futuro amore. Si chiamava Manlio e del viaggio ne aveva fatto virtù, sempre mosso da coraggio e spirito d'esplorazione, le sue ruote erano ormai diventate come gambe, tanto che dal carro non scendeva mai.
A Manlio piaceva vedere il mondo da quell'altezza, in piedi sul sedile frustava con delicatezza i due cavalli e proprio in piedi sul sedile sentì un certo giorno, parlare Ida allo specchio. Le orecchie del ragazzo arrivarono giuste giuste al bordo della finestra del secondo piano.

- Maledetti ed ancora maledetti! Ma mi volete lasciare una volta tanto vedere oltre il melo in giardino?
Era il momento della tiritera.
- Ma cosa vi ho fatto di male che mi tenete come un canarino in gabbia?
- Ah che bella chioma signorina!
Gli fece Manlio dal bordo della finestra, che oltre che le orecchie in piedi sul carro, anche gli occhi ci arrivavano benissimo.

-Ahhhhhhh!
Per tutta risposta a quella improbabile invasione fuori dal piano rialzato - seppur con discrezione Manlio, in piedi sul carro, era rimasto sulla via - all'urlo seguì un bel colpo di spazzola in piena fronte, ma non per desiderio di volerlo pettinare, ma per reazione istintiva della folta Ida.

- Chi siete? Orribile spione!
Povero Manlio, steso giù sul carro dopo quella botta in testa, trovò a fatica le parole per giustificarsi.
- Passavo di qui come al solito, in piedi sul mio carro e non ho potuto fare a meno di ascoltare le vostre pene.
- Via subito di qui brutto cialtrone perdigiorno! Che io ho tanti di quei problemi con i mattoni ed i capelli che voi neanche ve lo potete immaginare.
Gli fece Ida sporgendosi dalla finestra, mentre rimaneva coi capelli impigliata alla maniglia.
- Ahi Ahiii ihhhiiii!

Fu davvero un bell'incontro questo loro primo, non dissimile dai tanti patimenti che soffrono all'inizio tutte le coppie.
Capendo che da quelle parti non tirava una buona aria, Manlio steso sul carro decise di proseguire, lasciando Ida a sciogliersi i capelli dalla finestra.
Quando il carro raggiunse una ragguardevole distanza, l'uomo si tirò di nuovo in piedi.
- Certo che quella ha proprio un diavolo per capello.
E massaggiandosi la fronte, gli cascò l'occhio sulla spazzola rimasta sul carro.
Manlio essendo un cuor gentile, decise che il giorno dopo sarebbe tornato dalla ragazza per restituirle l'oggetto, forse avevano iniziato con il piede sbagliato, si sarebbe scusato di quella intrusione e avrebbe cercato di trovare la pace.

Inutile dirvi che non andò proprio così, perché quando Manlio il giorno dopo si affacciò nuovamente alla finestra per rendere la spazzola ad Ida, per tutta risposta si prese in testa un portagioie bello robusto, preceduto dal solito grido della ragazza.
- Ahhhhhhh! Spione sfacciato!
E giorno dopo giorno, Manlio riuscì a collezionare sulla fronte anche un paio di cucchiai in legno, un comodino, la testiera del letto, qualche mattone del camino.

Pezzo dopo pezzo mezza casa finì sul carro e Ida una bella sera, di fronte al suo specchio pronta e sgranare come un rosario la solita tiritera, si accorse che alcune capelli particolarmente ribelli, puntavano come l'ago di una bussola verso l'esterno della casa.
Quel ciuffo di capelli era rimasto impigliato come ad un filo invisibile che riconduceva agli oggetti finiti prima sulla fronte e poi sul carro di Manlio.
Da quel giorno tirare cose in testa al ragazzo fu un piacere, proseguì così con porte e portone, finestre e tegole, assi e travi ed ogni dì Manlio inarrestabile tornava per curiosità ed amore a quella casa, pronto a restituire qualcosa ma anche a ricevere in testa qualcos'altro.
Lanciato anche l'ultimo pezzo della casa, Ida fu finalmente libera e poté infine saltar giù anche lei dalla finestra che ormai non c'era più.
Questa volta Manlio non la prese in fronte, ma tra le braccia.
Nessun confine, nessun muro né porta che potesse ormai impedire alla ragazza di varcare la soglia del mondo intero.

I due cominciarono un viaggio lunghissimo insieme, andando a seminare per il globo ogni singolo mattone, così che quella casa non fosse più in un solo posto e che quella bussola che Ida aveva in testa, potesse da quel giorno puntare verso tutti gli orizzonti.
Ida e Manlio viaggiarono felici in ogni dove, la ragazza aveva trovato la libertà pagando soltanto un piccolo prezzo: l'aver sempre i capelli ritti e tesi in ogni possibile direzione.