domenica 24 febbraio 2013

C'era una volta… ma una volta sola - (carte estratte: 17 12 9 - tiraggio di Agata S.)



C'era una volta Alba che voleva solo cominciare, intrigata così tanto dagli inizi pensava che nulla avesse senso nei finali.
Come biasimarla del resto, finire fa paura un po' a tutti; e rese chiare da subito le sue intenzioni per il peso del suo stesso nome, tutto iniziava e mai nulla finiva.

C'era una volta Alba che per lei era sempre lunedì, si svegliava la mattina quando il sole sbucava appena oltre l'orizzonte, si lavava nel catino e poi apriva la bottega, andandosene via a mezzogiorno e non chiudendo mai la porta.
Chi comprava le sue mercanzie ormai si era abituato a tutto questo e sapendo bene che non avrebbe ricevuto resto, pagava il prezzo giusto del pane, della carne e delle noci.

C'era una volta solo la primavera, perché per Alba era inutile che arrivasse l'estate. Che senso aveva? Si stava così bene quando il giorno scaldava abbastanza e non troppo poco.

C'era una volta sua padre, che non poteva morire in pace, stanco di un'intera vita al mulino, si ritrovava ogni lunedì a pestare il frumento sotto alla macina. Non dimentichiamoci che c'era anche una volta di Alba la madre, che lavava al fiume i panni sporchi, senza potersi mai alzare, china a sfregar vestiti in quell'eterna primavera.

C'era una volta un villaggio che si cominciava a stancare, che aveva perso la speranza di vedere un martedì, di pensare anche solamente che un bel giorno potesse nascer storto.

C'erano una volta decine di madri, con le lunghe gravidanze sulla pancia, che si lasciavano però alle spalle almeno diciotto mesi di gestazione e il loro unico svago era quello di stare in piazza, a raccontarsi da quanto tempo i loro mariti erano partiti per andar nei campi. Del resto era quasi mezzogiorno, forse li avrebbero rivisti da lì a poco. Le minestre erano sul fuoco, caldo almeno da far quasi fondere il ferro.

C'erano una volta dei c'era una volta, che si erano stufati di leggersi i c'era una volta e tutti quei c'era una volta si resero conto che dovevano trovare una soluzione per arrivare ad una fine.
Di fare un'assemblea cittadina al calar della sera, per decidere come uscire da quella bizzarra situazione, era cosa assai improbabile, per cui tutti insieme a metà mattina andarono a chiedere al saggio del villaggio, come far finire quell'assurdo ritornello senza mai strofa.
Il vecchio che viveva al centro del bosco, li accolse a braccia aperte e nella sua casetta scalcinata, sembrò trovare subito un rimedio.
-Voi domani che è lunedì, con i soldi giusti in mano per non dover ricevere alcun resto, andate da Alba, comprate pane, carne e noci come sempre, pagatela, ma questa volta chiedetele di consegnare la merce qui a me. Vi assicuro che non ci sarà bisogno di nessun altro "c'era una volta".

Il giorno dopo, c'era una volta Alba che aveva un negozio nella piazza del villaggio, che ricevette a metà mattina la visita di tutti gli abitanti di quel borgo.
Questi avevano fatto una colletta per comprar da lei pane, carne e noci, pagarono il giusto prezzo senza aver bisogno di resto e le diedero il compito di consegnare la merce al vecchio saggio, nella sua casettina in mezzo al bosco.
Alba controllò che non fosse ancora mezzogiorno e messi sulle spalle i tre sacchi con la merce, si incamminò verso il centro del bosco, ma quando arrivò a un terzo del percorso, la ragazza posò i sacchi in terra pronta a tornare indietro senza finire.
Si allontanò.

Alle sue spalle un allegro cinguettare, attrasse la sua attenzione, al che si voltò in tempo per vedere un gruppo di passerotti che si erano lanciati sul sacco del pane, festosi banchettavano con quel ben di Dio, senza farsi troppe domande su quale grazia gli fosse capitata.
Ad Alba quella per un attimo sembrò vagamente una giusta conclusione, che le riempì per un pochino di gioia il cuore, ma poi tornata in sé si affrettò indispettita a togliere dalla strada i tre sacchi: non poteva né voleva generare alcun tipo di conclusione, così con nuovamente il carico in spalla riprese a muoversi verso la casa in mezzo al bosco.

Percorso un altro terzo del cammino, si guardò intorno, lì non c'era proprio nessuno, poteva star tranquilla e dopo aver scaricato nuovamente i tre sacchi in mezzo al sentiero, voltò le spalle per tornare al villaggio.
Di uccellini non se ne sentivano i cinguettii, ma ormai quell'idea di un finale che non voleva accadesse, le si era così radicata nelle meningi che tornò indietro a vedere che fosse tutto a posto, che il suo gesto fosse anche questa volta inutile come tutti i lunedì.
Si sbagliava di grosso, perché la volpe silenziosa era scesa a valle per mangiarsi la carne che era nel secondo sacco.
- Maledetta togliti di lì! Non vorrai farmi finire qualcosa a mia insaputa!
E con un bel sasso e una discreta mira, Alba riuscì ad allontanare quel fulmine rosso.
Riprese i sacchi in spalla e si rimise in cammino.

Al terzo tentativo voleva non avere dubbi, così posò i sacchi in mezzo al sentiero e li ricoprì di foglie e rami, sperando che nessuno li trovasse.

Eviterò di farvela troppo lunga, poiché così come a voi vi è balzato in capo il sospetto che un terzo animale potesse entrare per concludere forzatamente questa storia, anche ad Alba venne lo stesso sospetto, e non passò troppo tempo che un gruppo di castori, in cerca di rami secchi e foglie per edificare una diga, si ritrovarono a sgranocchiare tante buone noci.
- E no! Allora me lo fate apposta!
S'infuriò Alba, che scacciati a suon di "Sciò!" tutti i castori, si rimise in spalla la mercanzia andandosene a gambe levate il più lontano possibile, verso il centro del bosco.

Inutile dire che ad aspettarla alla fine del sentiero, seduto comodo su un ceppo, c'era il vecchio saggio, che la accolse a braccia aperte prendendosi la merce e ringraziandola della consegna.
Alba rimase con un palmo di naso, dovendosene tornare a casa all'una di quel bel martedì d'estate.

sabato 16 febbraio 2013

Le tre storie dell'orologio - (carte estratte: 12 7 19 - tiraggio di Patrizia G.)



Avete mai sentito parlare delle tre storie dell'orologio?
Probabilmente no, perché si svolsero tutte al di fuori del tempo e quindi non accaddero mai.

La prima storia racconta di un impiegato, che fino alle sei e mezza del pomeriggio andava di fretta e dalle sei a mezzanotte si muoveva piano piano, poi fino alle sei e mezza del mattino dormiva poco, ma per arrivare al mezzogiorno gli ci voleva un eternità.
Ciò vi potrà sembrare davvero strano, ma se aveste avuto sott'occhio il suo orologio avreste capito il perché.
Era un orologio a muro, di quelli che si guardano in continuazione quando è ora di tornare a casa, ma quello lì aveva un difetto di fabbricazione: le lancette erano pesanti a tal punto che nel mezzo giro che andava dall'alto in basso - dal 12 al 6 - crollavano per la forza di gravità, poi per tornare entrambe a puntare verso l'alto - dal 6 al 12 - si trascinavano a fatica per risalire.
Certo non era per niente facile vivere in questo modo.
Pensateci bene, la notte passa in un lampo e con gli occhi ancora carichi di sonno dovete alzarvi per andare a lavorare. La mattina diventa infinita tanto che perdete almeno dieci chili prima di arrivare a pranzo e poter mangiare. La stessa regola vale per il pomeriggio che passa così in fretta che non ve lo potete neanche godere e infine per coricarvi a letto e come se passasse una settimana.

La seconda storia racconta di un altro uomo al quale non cresceva pelo, i capelli li aveva, ma di barba e baffi non se ne parlava, stufo di sentirsi considerato da tutti un ragazzino, decise di mettersi due bei baffi posticci per riempire il vuoto sotto al naso.
Ci appiccicò due lancette, spesse e nere, una per le ore che puntava verso destra e una per i minuti che virava a sinistra.
Sicuramente avrebbe fatto palpitare molti cuori con quei bei baffoni, ma appena provò a spostarsi di pochi passi si rese conto che le lancette cominciavano a girare; così se andava avanti, anche il tempo andava avanti - storcendogli dolorosamente il naso - se si fermava tutto si congelava e se provava a camminare come un gambero, tornava indietro insieme al tempo!
Andò male con le ragazze, poiché da quel momento fu sempre impegnato a non spostarsi troppo, per evitare di farsi scaccolare dalle lancette.

La terza storia racconta di un orologiaio distratto, che quando costruì per sé un orologio, si dimentico di posizionare sul quadrante il 12.
Bel guaio quello! Da quel giorno la sua mezzanotte e il suo mezzogiorno divennero solo un pallido ricordo.
Quelle due ore cominciarono a mancargli così tanto che per rimediare a questo divenne un ladro e cominciò a rubare a chi gli venisse a tiro il mezzogiorno e la mezzanotte.
Non era cosa insolita ritrovarselo in casa, che con aria furtiva ti portava via l'appetito o un ora di sonno.

La gente stufa di farsi rubare il tempo e che a differenza di voi aveva già sentito narrare delle tre storie dell'orologio, decise di mettere in atto un piano che poteva liberarli da quei tre impiastri.
Fecero così far conoscenza tra l'orologiaio, l'impiegato e lo sbarbato baffuto, ma lo fecero di mattina così che per arrivare a pranzo sarebbe passata un'eternità.
Beh! Ve lo dico senza tanto girarci intorno, ma quando fu mezzogiorno avevano tutti e tre il budello così tanto lungo che non pensarono proprio all'ora che stavano per perdere, si preoccuparono solo di mangiare.
Il primo giorno però non fu facile, perché tra che non avevano il mezzogiorno dell'orologiaio, ma neanche il pomeriggio per la pesantezza delle lancette dell'impiegato, si ritrovarono a sera senza aver mangiato.
Meno male che con loro c'era lo sbarbato, che a costo di farsi cadere il naso a forza di lancettate, camminò indietro fino alle dodici, si fermò e finalmente poterono pranzare.

E da quel giorno in poi, quei tre impiastri come in un perfetto orologio, trovarono il giusto ritmo per vivere la vita come la vivevano gli altri.
Strani meccanismi però crea la coscienza umana, io avrei rotto i tre orologi.

sabato 2 febbraio 2013

Piccolino - (carte estratte: 14 3 1 - tiraggio di Angela S.)



Quando il re morì, fu il principe a divenire a sua volta re, aveva solo tre anni e la regina lo chiamava Piccolino.
Per un sovrano è un controsenso esser chiamato Piccolino, data la vastità del suo regno, ma in quel nome era nascosto un segreto che la regina conosceva bene.

Ella aveva amato con tutto il cuore quel re morto di vecchiaia e benché le loro età fossero così distanti, per la giovane regina ciò aveva rappresentato soltanto una benedizione.
Quell'assenza le aveva svuotato il cuore e da quando nessuno la chiamava più "la mia piccolina", l'incantesimo si era infranto e "la regina in miniatura" era diventata "la regina madre", ritrovandosi da giovane a vecchia in poche ore.
Il potere dei nomi è un potere da non sottovalutare.

Piccolino non sarebbe mai morto, non avrebbe mai lasciato sola la regina madre, fintanto che lei lo avesse chiamato così.
Da quel giorno le guerre si fecero per capriccio, le udienze per farlo divertire e le esecuzioni per scoprire come le persone fossero fatte dentro, in una continua avanzata che espandeva il regno di Piccolino e restringeva quelli degli altri sovrani.
L'esercito di Piccolino resisteva, nonostante le sue fila ad ogni capriccio fossero sempre più esigue.
Con il nuovo re non era possibile essere diplomatici, le regole non valevano e quel sovrano che dopo quattordici anni di regno ne dimostrava ancora tre, venne riconosciuto come uno tra i più spietati tiranni della storia.
Tutti i regni lì intorno decisero allora di unirsi, per dichiarare guerra al più grande conquistatore di sempre.

- Non vinceremo mai contro tutti quegli uomini messi insieme.
Disse il consigliere alla regina.
- Vi prego mia sovrana, dovete rompere l'incantesimo che tiene il re in questa condizione, a nulla sarà valso chiamarlo Piccolino per tenere lontana la morte, poiché essa ora ha deciso di allearsi con il nemico.
La regina salì su tutte le furie per l'arroganza del consigliere.
- Voi siete solo uno stupido omino, piccolo e insignificante.
E così fu, il consigliere divenne un bimbo di tre anni.
Ecco la soluzione!
In quel momento capì che avrebbero vinto la guerra e quando gli eserciti si affacciarono all'orizzonte, la regina era già pronta sulle mura, per trattare quei guerrieri come pargoli.

Bambini ovunque, sui cavalli, con gli archi in mano, sulle scale che violavano le mura, bambini che invece di assediare il castello di Piccolino e portare la morte, ora se ne stavano senza capire bene dove fossero, frignando perché volevano soltanto tornare a casa.

Fu molto facile per l'ormai esiguo esercito di Piccolino eliminarli uno ad uno, come si fa con gli insetti che ci danno fastidio.
Fu molto più difficile invero, comprendere il senso di questa vittoria.