sabato 28 aprile 2012

La lettera d'amore - (carte estratte: 2 8 18 - tiraggio di Sonia)



Scrivi scrivi mia bella Sabrina, pesa tutte le parole che ci vuoi appoggiare, perché "amore" è almeno un chilo se lo si mette a confronto con "sentimento" che sarà si e no sette etti.

Ogni parola ha il suo peso, alcune sono piccole e di ferro, altre grandi ma son di spugna. Ci sono le parole d'erba, quelle d'aria, quelle di stoffa che non sai mai quanto sono lunghe quando le srotoli, e poi ci son quelle liquide, che son le più difficili da pesare perché da sole ferme sul piatto non ci stanno.

Scrivi scrivi Sabrina, vedrai che sarà una bella lettera da spedire in ogni direzione, per trovare un principe, dico almeno uno, che sia abbastanza forte da regger per intero la letterina.
Eh si! perché Sabrina aveva avuto questa bella pensata: poiché non trovava la giusta calzatura per il proprio piede, avrebbe scritto la lettera d'amore più pesante che si possa immaginare, ma non pesante per le male parole, proprio pesante da far tendere i muscoli per poterla sollevare.
Se un uomo si presuppone debba essere abbastanza forte da reggere la propria spada, colui che sarebbe riuscito a legger quella, sarebbe stato conforme alle forme che Sabrina si aspettava di racimolare.

Così presa bilancia e bilancini la nostra dama, si mise d'impegno a trovar le parole più consistenti.
Prima una poi l'altra le passò tutte al setaccio, e quelle scelte venivano messe in fila sulla carta, ma stando attenta ad appoggiarne solo una per volta.
Non credo di dovervelo spiegare, che quelle parole erano così toste che se ne avesse messe lì due per volta si sarebbe come minimo slogata il polso. Ci volle tutto il parentado per piegare il foglio in quattro e farlo finire dentro alla busta, e tutti la aiutarono di buon grado, tra zii, cugini e genitori, furon pronti all'idea di vederla finalmente maritata.
La letterina fu poi adagiata su un carro rinforzato, trainato da almeno dodici cavalli se non ricordo male, che quello si insinuò così tanto nel suolo, che pure una spinta tutti insieme gli dovettero dare per farlo andar lontano dalla casa di Sabrina.
Ora attendi attendi cara ragazza, quella lettera lasciala andare, vediamo cosa ti porterà indietro e quale amore potrai conquistare.

Il primo castello in cui arrivò il messaggero, era quello di Braccioforte di Tor Tadipanna che fiero di prender in capo chino la sfida, saltò subito sul carro per sollevar la lettera. Tese i muscoli e corrugò la fronte, così tanto che nello sforzo gli si invertirono i sopraccigli, e a me vien da dire che forse al povero Braccioforte gli mancava quello che più serviva in questa pugna: il secondo braccio forte.
Morì per la fatica.

Il secondo castello di fronte al quale si fermò la lettera, era quello del conte Entrambibracciforti di Pietradura, che benché avesse un nome terribile pareva aver ottime carte in mano per vincere il cuore della dama, e lo dimostrò davvero perché chinatosi su quella busta, riuscì a sollevarla un pochettino, ma ben lontano da darle una letta gli si strapparono le braccia dal corpo per lo sforzo.
Morì così dissanguato.

Niente di fatto mentre nei castelli vicini si cominciava a parlare della lettera d'amore che mieteva vittime.
Anche all'orecchio del principe condottiero Spaccagranito di Forte Forte giunse questa voce, ma non si impressionò più di tanto perché del resto lo sapeva bene che una lettera d'amore è pur sempre uno tra gli avversari più temibili, e sapeva altrettanto bene che il prossimo castello in fila era il suo.
Si presentò davanti al ponte levatoio ancor prima che giunse il carro, e mentre si preparava alla sfida, la folla inneggiava al suo nome.
Spaccagranito di Forte Forte balzò anch'egli sul carro, com'era ormai d'uso e alzò la lettera sino alle ginocchia, la folla gridò ancora più forte il suo nome, e lui alzò la lettera sino alle ginocchia, allora la folla cominciò ad ululare dalla gioia e lui alzò la lettera sino alle ginocchia.
Rimase di sasso.
Stecchito in quella posizione, con la lettera alzata solo sino alle ginocchia, restando cadavere sul carro sino al castello successivo.

Montagno di Stratosto, visse quel tanto che bastò per sfilar la lettera dalle mani di Spaccagranito di Forte Forte; Cateno Montuoso di Ferrobattuto ci finì schiacciato sotto; i principi gemelli Colosso e Titano Brigliesciolte riuscirono ad alzarla in piedi, ma poi come tutti i fratelli cominciarono a litigarsela e spingendola l'uno verso l'altro finirono per farsi scoppiare le vene; il principe marinaio Colonno degli Abissi rimase senza fiato fuor dall'acqua; non ne uscì vivo neanche Girodelmondo Apiedi.
Quella lettera d'amore aveva mietuto più vittime della peste bubbonica.

Ora a dir tutta la verità, mi rendo conto che Sabrina aveva un grosso problema, non avrebbe mai trovato un principe che potesse sostenere tutto quell'amore: la sua creazione si era ritorta contro la propria creatrice.
Ma caro lettore ancor più grave per me, stava diventando la questione di tutti quei poveri principi morti.
Braccioforte di Tor Tadipanna per quanto non fosse un edotto aveva sempre amato attorniarsi a corte di personaggi interessanti. Di Entrambibracciforti di Pietradura, mi ricordo ancora tutte le risate che si faceva a sentir le mie novelle folli. Seguendo la linea di ammazzamenti e passando per i principi gemelli sino ad arrivare a Colonno degli Abissi, eran tutti uomini che si lasciavano amabilmente sollazzare a corte da noi cantastorie.

Come farò adesso io senza più principi da poter spennare con i miei racconti? Come potrò mangiare senza esser disonesto, quando in saccoccia non avrò più moneta?

Maledetta te Sabrina e la tua scrittura, che non solo ti ha messo nei guai, ma cosa ben più grave mi sta andando a toglier di bocca il pane.
Serve di sicuro un rimedio che metta fine a questi omicidi d'amor nemmanco nato.

Poiché io me medesimo sono lo stesso autore che ti ha creata, mi toccherà far leva su quelli che sono i punti deboli del mio personaggio.
Per metterla nel sacco ci vuole una bella storia che abbia buone motivazioni, che le faccia capire in modo sano ed intrigante che non è il peso delle parole a dar valore all'amore stesso, e che soprattutto in amore un pò di sana follia può essere la leva per sollevare il mondo.

Pieno di buone speranze, ma con poche idee in testa me ne vado sino a casa di Sabrina e nella mia capoccia stramba continua a tintinnarmi come fosse una sola moneta in un baule, il suo nome.
Partire da un nome può essere una buona cosa per caratterizzare un personaggio, non è che un uomo forte può chiamarsi Ovetto di Burro, ma ti viene più utile chiamarlo Spaccagranito di Forte Forte, e allora cerco di ricordarmi perchè alla nostra cara "principessa" gli ho cucito addosso quel nome: Sabrina.
Ed ecco qui l'idea! anzi due! posso scegliere tra "pungente" o "affilata".
Direi che la seconda andrà benissimo, e mentre son lì nei pressi della casetta della giovine, vedo fuori il carro con la lettera appoggiata e la damina che piange come una fontana, delusa che nessuno riesca a sostenere la pesantezza delle sue parole.

Povera Sabrina, il pubblico te lo devi conquistare con idee ghiotte, non con parole da bilancia, che poi se sei sensibile e fragile ci soffri anche il doppio.
Ma fortunatamente averla scritta così, mi viene a favore; si perché se avessi inventato un'amazzone guerriera, appena mi fossi rivolto a lei con fare da cantastorie in un momento così delicato, mi avrebbe di sicuro fatto morire dimostrandomi che solo lei era così forte da poter alzare quella lettera per posarmela sul capo.
Così mi avvicino lentamente, con il mio mandolino e comincio a strimpellare cercando di trovare parole convincenti.

La povera figliola
piangeva disperata,
vedendo che l'amore
rende i principi frittata.

Lei mi guarda singhiozzando, dopo che con quelle note son riuscito a catturar la sua attenzione: anche se son spelacchiato mi difendo ancora bene come cantastorie.

Ma un dolce menestrello
che di lei fu anche creatore,
si avvicinò con garbo
per risolver quel grigiore.

Questa rima devo ammetterlo è un pò meno efficace, "creatore grigiore" è davvero poco consistente. Ma non importa, sono i rischi di chi si improvvisa autore, meglio continuare facendole credere che so quel che dico. Anzi se poni qualche concetto strampalato, chi ti ascolta comincia a creder che poi gli darai una coerente spiegazione e rimane per uno strano meccanismo ancor più impigliato nella rete del racconto.

Se l'amor è ragionato
perde la scintilla che fa muover il cuore,
e per tornare ad amare,
s'addice a noi spogliarlo del suo rigore.

E' fatta! Sabrina smette di piangere, e mi guarda per sentir la soluzione che tosto gli do, e per renderla ancor più protagonista le dico che la questione si chiuderà a suo favore, se lei ora agisce come le impone il suo fiero nome.
- Tu sei Sabrina l'affilata! e con la spada devi agire! riporta quell'assassina al suo stato primordiale tagliandola in pezzi così fini, che su ogni coriandolo rimanga una sola lettera. L'amore ora così leggero si solleverà con un soffio; lascialo libero che voli sopra ad ogni cosa; lascia che siano i cani neri e rossi del regno ad ingoiarlo abbaiando alla luna.

Sabrina che ormai pende dalle mie parole, agguanta una spada e salta a gambe larghe a cavalcioni della lettera d'amore, e mentre io che per per entrare più nel ruolo le recito questa follia ad occhi chiusi; un occhio appena appena lo apro per godermi questa scena, e come vedo nel suo fare un minimo di esitazione, scendo ancor più nel profondo con parole che possano sembrar fetide, per rappresentare bene l'odio che adesso ella ha per quelle da lei scritte.
- E lascia che quei cani ingoino fino all'ultimo strappo, con dentro tutti quei "ti amo", "desiderio", "ardore", "strazio il cuore". Poiché percorse le loro membra usciranno da dietro nella forma che più gli si addice, ed una nuova lettera prenderà vita: una lettera con medesime lettere ma differenti parole. Così che grazie al caos avrai trovato rimedio. - proseguo mentre lei tira giù fendenti e fa volar coriandoli da tutte le parti. - Or la lettera sarà quella che farà innamorare, dove parole ormai prive di senso saran le più sincere e proprie dell'amore, poiché viscerali.

Sabrina lancia in aria l'ultimo quadrato, l'ultima lettera che si solleva in volo.
Sono salvo! nessun principe dovrà più perire per mano di questa screanzata che vuole scrivere parole che non è in grado di gestire.
Io da parte mia, mi son risollevato e pregusto già il dolce tintinnare delle monete nella mia saccoccia, perché ora come cantastorie ho guadagnato "la storia delle storie": quella che in un colpo solo ha salvato da morte certa tutti i principi delle prossime generazioni.

Sabrina mi guarda, con occhi pieni di gioia, perché finalmente si è liberata del peso di un amore combinato a tavolino.
Poi lascia la spada e mi si getta al collo, e mi bacia, e mi accarezza, e mi chiama "Salvatore" che non è neanche il mio nome, e io sono quindi preso all'amo. Povero narratore di così poca sostanza che non riesce a esser fermo neanche davanti al proprio personaggio peggiore.

Sabrina cosa devo fare?

Non posso dire che non amo le mie storie e l'umanità degli inconsapevoli attori che le muove, sarei un vile traditore che volta le spalle e con menzogna ripudia colei che quelle monete gli è tornata a far mettere in tasca.
Poi dico la verità: Sabrina l'avevo scritta bella, ma così bella che anche a me ha inoculato le farfalle dell'amore.

Finiamo per maritarci, in questa storia banale.
Ed è così che la sera mi ritrovo fuori dalla casetta, abbracciato alla mia bella Sabrina, mentre guardiamo la luna e ci chiediamo che fine abbiano fatto tutte quelle parole diventate coriandoli, che son state poi mangiate dai cani, e digerite e a loro volta espulse sotto un'altro forma più fetida e terrena.
Come questa storia che partiva con tante premesse e promesse e se n'è andata per un'altra strada tutta sua.

Così come ogni lettera d'amore è una promessa che non manterremo, ogni storia che vuol essere originale finisce per diventare la lettera d'amore che un cantastorie scrive, per chi lo viene ad ascoltare.

mercoledì 25 aprile 2012

L'angelo e il suo mare - (carte estratte: 21 14 20 - tiraggio di Giorgia)



A guardarli bene, gli angeli hanno le ali d'acqua, poiché così son del colore del cielo. Non ne sprecano una sola goccia mentre volano guardando giù, ma quel giorno quell'angelo in particolare, volgendo lo sguardo più sotto di dove doveva guardare, si innamorò di tutto l'immenso mare.
A niente valsero i cori degli altri che lo volevan trattenere da far quel gesto insano, e senza troppo pensarci su, quello volò in picchiata.

Splash! si ritrovò a mollo bagnandosi le ali, che benché fossero d'acqua a loro volta non erano abituate a quella materia più sale.
Quanto è grande l'amore, sconfinato a tal punto che ti ci puoi perdere dentro se non sai dove guardare, e mentre quello nuotava sbattendo le ali, scorse da lontano una figura con braccia, torso, testa e gambe.
La creatura era un gioiello tra le onde, fatto d'acqua anch'essa e dissolta a tal punto con il resto che per riconoscerne la forma, l'angelo dovette tracciarne i confini con le mani.
Esisteva davvero se dentro e fuori erano lo stesso?

- Ecco! tu sei il mio amore puro, e ti voglio portare via con me, togliendoti con grazia da tutto il resto, da tutta l'acqua che non mi permette di poterti riconoscere se non tendendo le mani.

La creatura fu contenta di questo, perché a stare lì in quell'immenso mare, non gli era permesso dichiarare dove cominciasse e finisse la sua epidermide, fatta della stessa materia del resto. Tese allora le mani, incrociandole con quelle dell'angelo.
Come fosse una bambina stanca si abbandonò all'abbraccio e i due si incamminarono verso la riva.
Bastò spingere solo un pò più forte, per tirarla fuori dal sale, così da potergli donare braccia, torso, testa e gambe proprie che non fossero più solo proprietà del mare.

E per l'angelo fu ancor più facile, poiché la sua pelle gli permise di poterne scivolare fuori senza fatica, ma fu quando arrivò all'altezza delle ali, che come strattonato da un mano invisibile non riuscì a proseguire oltre.
Eh si! perché le sue ali, che eran fatte d'acqua, in quell'istante erano grandi e pesanti come fossero loro stesse l'intero mare, e su quella linea di confine definita dall'onda, l'angelo cominciò a capire quanto fosse pesante la sua appartenenza.
In braccio teneva un piccolo mare, e da un altro più grande era trattenuto.
Il dilemma gli fu chiaro, e per poter viver quello piccolo dovette spinger forte quel solo ultimo passo strappandosi le ali.
A volte ci penso e mi chiedo, se per farsi passar la sete basti solo un bicchiere o sia meglio bersi tutto il mare?

lunedì 16 aprile 2012

Le parole della Santa Redenta - (carte estratte: 17 15 2 - tiraggio di Renata)



Mai ha' l'amor,
te miser'uomo,
che di pùtta,
n'avesti visto le bell'idee.

In sanità accolga l'amor tenero,
ch'arde come forni.

Cari all'intelletto:
è luce 'l' mondo dell'uomo.
Ama la notte e il dì.
Ah! Volo libera ora.

La monaca ripose la penna d'oca e il calamaio, chiuse il libro sacro che stava compilando e lo lasciò in biblioteca.
Da quel giorno quelle poche parole ch'ella scrisse furon d'ispirazione per l'intero ordine monastico e valsero oltremodo, poiché la santa che di nome facea Redenta proprio grazie a quella veste venne salvata.

Qualche tempo prima Redenta era stata giovane e della vita non aveva nessun timore; sperando di poter dire tutto al mondo senza inibizioni, si ritrovò invece a perdere la voce.
Era muta, ma di un mutismo particolare, si perché non ci son parole che possano morire soffocate e se non ci fu più fiato per i suoi pensieri, ci pensò da quel momento la sua pancia a dir la propria.
Vatti però a fidare di ciò che sostengono in giro le tue budella, che fan discorsi semplici ed immediati, magari anche spregevoli ed imbarazzanti, parole gorgoglianti come rutti trattenuti, turpiloqui e brutti pensieri, dispensati da Redenta come stille di velenosa saggezza.
Per lei tutto ciò era un imbarazzo, decise così di vestire abiti che potessero metter freno a quelle idee troppo profonde.
Divenne ancor più muta: monaca che fece voto di silenzio.
I rutti e i turpiloqui cessarono di colpo, come se ad entrar lì dentro avesse preso un'erba medica e divina.
Poi una notte sentì bussar di nuovo alla porta dello stomaco e non potendosi trattener corse a vomitar quelle parole sulla carta.
La voce si zittì ma quale orrore era uscito dall'inchiostro, il demone in lei non si era di certo chetato in quelle stanze, e Redenta si sentì in dovere di trovarvi rimedio, fu così che decise di arrangiar al loro posto parole d'oro, che potessero esser d'ispirazione per le altre sante signore del convento.

Che bellezza! e quale onore poter leggere i pensieri sublimi di Redenta, che tutte le incantava con l'amor, la sanità, l'intelletto e la sua luce.
Ma le parole son solo parole anche se son su testi sacri e dipende come tu caro lettore leggi o spazi la lingua degli uccelli.
E se le monache lessero in quello il loro libro divino, io ti posso dir che questa storia avrebbe potuto cominciar in un modo completamente differente.

Maiala morte! miser'uomo,
che di puttana vestivi stole belle.

Idee insani!
T'accolga la morte!
Nero che arde come fornicaria, lì in te,
letto e uccel immondo dell'uomo.

Ama la notte!
E il diavolo libera ora!

venerdì 13 aprile 2012

Malvina a raddrizzar i torti storti - (carte estratte: 9 3 13 - tiraggio di Mara)



Ciò che accadde a Malvina quando i suoi figli raggiunsero l'età dell'avventura, non dovrebbe stupir nessuno di voi lettori, che benché siate soliti tener ben saldi gli occhi su queste righe, potreste un bel giorno ritrovarvi in simil strampalata situazione. Leggete allora con accortezza, poiché forse tra queste righe potreste trovar un centro alla vostra visione.
Malvina, come poc'anzi menzionavo, era una donna dallo sguardo gentile che aveva due figli giunti ormai in odor d'avventure, tant'è che presero l'armi in mano decidendo di muoversi verso il mondo per percorrerne le glorie.
Marzio e Manfredi, così si chiamavano i due fratelli, salutarono la madre e saliti a cavallo partirono.
Lei che da sempre li aveva tenuti sotto gli occhi, li guardò allontanarsi verso quelle vastità, con il cuore colmo di gioia e tristezza per ciò che a ben vedere è un naturale abbandono, e quando quelli giunsero al bivio sulla linea dell'orizzonte presero dunque la loro decisione.
Marzio disse come tuono.
- Io percorrerò le vie dell'est che son cariche di tesori e sfide, il mio braccio che è sì forte spazzerà via in un sol colpo ogni ostile. Troverò ricchezze che porterò a nostra madre, così che ella non debba della nostra partenza mai aver rimpianto.
Manfredi di rimando sostenne.
- Io da me mi perderò per le vie dell'ovest, dove va il sole a coricarsi, dove il pensier si placa e mi potrà pervadere nel sonno. Cercherò i più illustri ragionamenti e i tesori del di dentro, così che a nostra madre porterò in dono parole preziose come l'oro, che saranno seconde sole alla dolcezza dello sguardo con cui ci ha cresciuti.
E dopo tutta questa poesia, cari amici, devo dire che anche a me la lacrimuccia cala e mentre la goccia mi si stacca dall'occhio in verticale, quei due si separarono in orizzontale.
Malvina che non distribuì mai in disugual misura l'amore che per i due figli provava, seguì con lo sguardo fiero di una madre quelli che si allontanavano in direzioni opposte, ritrovandosi così in poco più che un battito di ciglia ad aver gli occhi belli spaiati e storti, che pareva esser diventata uno di quei grossi lucertoloni che cambian colore così come cambia il mondo.
Così da quel giorno, ella dovette per troppo amore far i conti con questa strampalata situazione.
Malvina dagli occhi storti, così solean chiamarla, se ne andava in giro per le vie con un cuscino legato in fronte per rimediar alle tante botte che rischiava di prender in capo, si muoveva lenta per non farsi troppo male.
Tutto il suo giorno era diventato un continuo andar di lato, e benché sapesse con un occhio che procedeva verso dove doveva andare, contemporaneamente con l'altro vedeva che si allontanava da dove doveva venire non capendo mai da dove doveva stare, così che per lei il "quando adesso" era diventato un concetto difficile da afferrare.
-Io Malvina vivevo nel prima di dove vengo, vivo nel poi di dove vado, ma dove sono capitata adesso?
Eh si perché girando in ogni dove, la poveretta se ne era andata dritta dove non doveva andare e quando la trovarono a rovistare nelle stanze segrete del palazzo, il re se ne ebbe così a male che la fece imprigionare sulla torre più alta del castello.
Cara Malvina che fine impietosa che hai fatto, resa colpevole per troppo amore. Ti sarebbe convenuto tener gli occhi belli a fianco non sforzando troppo i bulbi sulla linea d'orizzonte.
Ma poi a ben vedere, da quella posizione sulla torre del castello a Malvina fu concesso un privilegio, eh si! perché con quegli occhi che facevano a botte poté veder in opposta direzione causa, effetto e reazione.
Così se il re andava a trovare una damigella, poteva di rimbalzo veder pianger la regina. Se quello invece sul trono dava udienza col sorriso, ella poteva veder che prima aveva mandato le sue guardie ad intimidir chi non pagava i tributi. E ne vide così tante che a niente più servì il cuscino per evitarle i mal di capo.
Quante storture nella vita, quante ingiustizie oltre alla sua, e se lei non avesse più potuto rimetter gli occhi in linea si chiese se almeno quel suo sovvertimento non potesse esser di qualche aiuto ad altre alme.
Così con le lenzuola cominciò a provare a raddrizzare i torti storti in quel paese, e quando vedeva il re mandar le guardie a far razzia, lei appendeva fuori un lenzuolo piegato quattro volte, che voleva dire che "era ora di far quadrato" e i contadini comprendevano di correre ai ripari; mentre quando vedeva quello pronto per la damigella, il lenzuolo lo piegava in tre perché la regina sapesse del terzo incomodo.
Come una lanterna alzata da lontano, dalla sua prigione salvava tutti, ma proprio tutti, che ormai era diventato un rito quotidiano guardar la prigione sulla torre non con sospiri ma con speranze.
Lenzuolo steso: tutto liscio.
Piegato in due: sappiate sceglier.
Ritorto in tre: il terzo incomodo.
Chiuso a quattro: facciam quadrato.
Fisarmonica a cinque: la solita musica.
Specchiato a sei: guardarsi alle spalle…
E via così passando per tutti i modi e i numeri di piegare quello.
Il re ne usciva pazzo, non capiva perché non gli fosse più permesso nulla senza che prima qualcun altro non lo venisse a sapere.
Ma dopo tutto questo arrivò il giorno in cui Marzio e Manfredi, l'uno dall'est e l'altro dall'ovest si ritrovarono ad incontrarsi sul bivio che riportava al paese.
Non trovando al suo posto la madre, quei due cominciarono a chieder spiegazione e quando il re indicò la torre sulla quale non aveva mai posato lo sguardo per troppo orgoglio, si rese conto del lenzuolo.
Le guardie assediarono i due fratelli che si batterono a suon di mazzate e ragionamenti fini, ma non bastò per loro tutto quel viaggiare di fronte al potere del re, e caduti in catene furon portati sulla piazza principale.
Il re capito a questo punto di essere lui ora il solo ad aver subito un torto storto, decise di dar una lezione esemplare a Malvina, che fu condotta anch'essa sulla piazza.
- Non mi ricordo quale cantore mi ha detto, che saper allevare un figlio è come tender l'arco, dando loro direzione per poi saperli lasciar andare - Disse il re. - Sarà così che oggi a tutti voglio dimostrare quanto ciò corrisponde al vero e quanto grave è prender certe decisioni.
A Malvina fu messo in braccio arco e due frecce da incoccar insieme.
- Stai ora dinanzi ai tuoi figli e a due bersagli, se incoccando quelle insieme colpirai la paglia colorata essi saranno liberi, se invece non saprai dove ben mirare sarai tu a dargli la morte, e infine se non vorrai tirare sarà la mia mano a fargli saltare le teste. A te la responsabilità di saper guardare al centro.
Con un occhio rivolto all'est e quell'altro rivolto all'ovest, mentre ella procedeva verso dove doveva andare e contemporaneamente vedeva che si allontanava da dove doveva venire, si trovò a dover riafferrare il concetto ormai poco pratico del dove doveva essere adesso.
E così cominciò a girare su se stessa, vorticosamente, sempre più veloce al centro del suo punto.
Niente più prima né tantomeno poi, niente più sono stato né sarò, niente più ti ho guardato né ti guarderò.
Non importa dove guardi, ma è la giusta distanza che definisce il punto dove colpire.
Le due frecce partirono all'unisono.

Marzio e Manfredi, così si chiamavano i due fratelli, salutarono la madre e saliti a cavallo partirono.
Lei che da sempre li aveva tenuti sotto gli occhi, li guardò allontanarsi verso quelle vastità, con il cuore colmo di gioia e tristezza per ciò che a ben vedere è un naturale abbandono, e quando quelli giunsero al bivio sulla linea dell'orizzonte presero dunque la loro decisione.
Malvina li guardò da lontano, poi prima che questi si separarono, si voltò e tornò in casa.
Prese un lenzuolo e lo piegò in due, poi partì per il paese.

lunedì 9 aprile 2012

Tre vestiti per viver meglio - (carte estratte: 13 15 0 - tiraggio di Roberta)



Senza vestiti forse ancora ci si può stare, ma senza derma a girar per le vie la gente ti guarda male e non vi è cura per potersene abituare.
Egli era nato così, senza pelle alcuna che lo potesse proteggere dal mondo. Non aveva un nome, non aveva una famiglia, ma gli occhi erano di un blu intenso. Non bastò.
Eh si! perché quando girava per le strade lo chiamavan in vari modi, e tra gli epiteti meno offensivi c'eran "mostro" e "rosso maglione".
Stanco ormai di tutte queste maleparole decise che era giunto il momento di essere come tutti gli altri, pensò per cui di procurarsi una pelle da indossare e scuoiato un povero cristo in una stretta via laterale, ci mise un bel pò a capir come si infilasse quel vestito. La notte intanto coprì tutta la vergogna di quell'altro, che finì morto e nudo per davvero.
Il nostro se ne andò il giorno dopo bel bello per le vie, sicuro che la sua condanna ad avere il dito puntato contro fosse giunta a conclusione, e invece no, perché al suo passare tutte le femmine gridavano scandalizzate nel veder quell'uomo nudo, seppur con su ora una pelle.
Le vecchie signore davanti alle chiese, svenivano al suo incedere come margherite in autunno, benché loro stesse non fossero certo nel fior degli anni. La gente sentendosi offesa dal suo vestito di pelle, lo prese a sassate sul selciato, e gridandogli tutto il loro sdegno per quelle nudità, lo fecero correre via a gambe tese.
- E neanche questa è servita a niente, ma come devo fare?
Realizzò così in un sol colpo che per star tranquillo tra la gente non ti basta indossare un sol vestito, ma ne servono almeno due.
Benissimo! Sapeva di poter migliorare.
Fu così che prese dei vestiti lasciati al bordo del fiume, mettendoci anche in questo caso un pò a capire come si infilassero.
Mentre il mendicante che li aveva messi lì per andarsi a fare un bagno morì dal freddo, egli se ne andò bel bello a passeggiare per le strade del paese.
E provate ad indovinare! La gente lo prese a maleparole perché con quell'aria cenciosa pareva un appestato e gli diedero così tante bastonate, che se veramente avesse avuto la peste, ne sarebbe guarito, perché quella pur di non prendersi tutte quelle botte, gli si sarebbe levata via dal corpo senza neanche salutare.
Ah! che guaio, quel popolo che non lo aveva giudicato abbastanza elegante. Nonostante avesse adesso non uno solo, ma ben due abiti a sigillare quanto ci tenesse ad esser come tanti.
Fu così che gli venne un'altra bella idea, probabile dovesse dimostrare di essere elegante, perché alla fine non importa che tu sia vestito, ma di fronte all'eleganza ti si aprono porte, sorrisi ed abbracci.
Pensò che un bel tocco di grazia gliel'avrebbero potuta dare due bei gemelli appesi ai polsi e visti da lontano due biondi fratellini, gli staccò di netto le teste per poter allacciare per bene i polsini della sua camiciola.
Fu un interessante passeggiare, tra grida di cristiani che lo chiamavano "assassino" e pure "gobbo", si perché quelle due tenere testoline gli pesavan sulle braccia, così tanto da farlo procedere piegato.
Trascinandosi a capo chino per le vie, inseguito dalle guardie che di sicuro non lo volevano abbracciare, scorse da quell'impropria posizione un bel chiodo sul selciato.
Quando arrivò a casa, troppo stanco per andare oltre la sua voglia di non sentir più verso sè parole infami, appese al chiodo tutti i suoi vestiti: quelli eleganti con gemelli, quelli secondi che vanno sui primi, e infine quelli primi che non si sa mai da che parte te li devi infilare.
Così mentre egli nudo e senza pelle ritornò per le vie a passeggiare, nessuno di quelli lo prese più a maleparole, troppo intenti com'erano a cercare tra le case quell'assassino gobbo, che tanto fino a quel giorno li aveva fatti penare.

giovedì 5 aprile 2012

Dov'è il mercato di Forlimpolipoli? - (carte estratte: 0 6 15 - tiraggio di Guy)



Io mi son sempre chiesto dove si trovi Forlimpopoli, perché con un nome così curioso mi pare, che chissà quante sono le storie che potrebbe raccontare.
Al centro di Forlimpopoli c'era la piazza del mercato, e sulla bancarella di Guidetto c'era molta frutta, tra tutta quella c'era una mela bella rossa e lucida, con il picciolo che puntava verso occidente in direzione della torre dell'orologio.
Sull'altro lato della piazza c'era Martino, che aveva legato alla cintura un bel saccoccio e in quello c'erano quindici monete.
Nella piazza c'era tanta gente, tante bancarelle, tanti mercanti, ma tra tutti quelli Martino voleva andare dritto da Guidetto e fu così che un passo dopo l'altro si mosse per far presto in linea retta verso quella direzione.
Impresa non facile, poiché tra tutta quella gente qualche deviazione uno la deve pur tenere in considerazione, e non volendo farsi portar via la mela da un altro intraprendente avventore, cercò di andar tosto al punto fregandosene di fare il tragitto più breve, ma passando veloce tra i mutevoli corridoi di gente.
Dopo aver fatto quindi tutto il giro della piazza in ogni dove, giunse Martino da Guidetto prendendo sicuro la mela sulla pila di frutta nella bancarella del mercato di Forlimpopoli, ma quando fu il momento di pagare, si accorse che tra tutte quelle cose che c'erano, proprio la più importante non c'era più: il saccoccio con le monete era sparito!
Or visto che quella mela a tutti i costi la voleva masticare senza lasciarla ad alcuno, decise che per non perdere altro tempo a ripercorrere tutto quel tragitto all'inverso, sarebbe stato più saggio fare spazio nella piazza per poter meglio cercare da quella posizione.
Fu così che gridò a tutti di portare ogni cosa sul lato occidentale, sgombrando quello orientale.
La piazza ubbidì e lui poté ben guardare dove non c'era più nessuno. Cercò in ogni dove con lo sguardo, tra ogni mattonella della mezza piazza sgombra, ma non trovò nulla. Allora gridò a tutti di portare ogni cosa sul lato orientale, sgombrando quello occidentale, ma neanche lì scorse niente.
Strano caso questo, le monete non si riuscivano a trovare, e di nuovo tutti ad occidente li fece spostare, poi tutti ad oriente e di nuovo ad occidente. Andò avanti così per tutta la giornata finché il buio impedì per quel giorno di trovare ciò che aveva perso.
Ma il punto fermo rimane sempre quello: benché tu sappia dove si trovi Forlimpopoli, dove c'era la piazza del mercato, dov'era la bancarella di Guidetto dove c'era molta frutta, e tra tutta quella dove c'era una mela bella rossa e lucida con il picciolo che puntava verso occidente in direzione della torre dell'orologio, quando cerchi qualcosa ti conviene guardare ovunque tranne che dove c'è vuoto.