giovedì 16 febbraio 2012

Squinch, squiiiiinchhh, crrrrr, squinch - (carte estratte: 9 19 3 - tiraggio di Silvia B.)



Quand'ero molto piccola, vivevo con la mamma in una minuscola catapecchia di legno marcio.
Un giorno giunse un messere in armatura ed edificò per noi una casa di solidi mattoni, dandoci un tetto caldo sotto cui vivere: è per questo motivo che ora lo odio con tutta me stessa.


I

Nel bel mezzo del niente, che aveva il colore di una pianura erbosa tra tre colline, c'era una traballante catapecchia di legno marcio.
La cosa che tra tutte vi avrebbe catturato l'attenzione se foste passati da quelle parti era l'odore delle travi rese molli dalle molte piogge, un marcio di cui si aveva il sentore anche a cento metri di distanza, e le fessure tra asse ed asse parevano il vuoto tra i rebbi di una forchetta.
La casa quasi non si reggeva in piedi e non c'era un solo chiodo che tenesse quelle assi salde, traballava ad ogni leggero soffio del vento, tant'è che chi l'abitava viveva fuori per non rischiar di vedersela cadere addosso.
Un tetto è bello io dico, ma se non te lo vedi calar troppo vicino al capo.
Serenella, così si chiamava colei che viveva lì, aveva solo due cose: sedici anni e una figlia di appena tre mesi, che si chiamava Serena.
Certo c'era la catapecchia, ma dico che aveva solo due cose perché chi mai vorrebbe dire di possedere una dimora di legno marcio? E poi vivendo fuori era come non averla.
Oltre a queste quattro mura, un pò più in là c'era una vacca malconcia, che girava spersa per i campi e qualche volta dava quel poco latte che aveva alla piccola Serena. Qualche radice strappata qua e là invece teneva in piedi Serenella.
Il destino era stato infausto per quelle due povere anime, ma un giorno che era ormai quasi sera, Serenella vide arrivare dritto dalla collina un cavallo che pareva fosse alla carica. La ragazza strinse forte Serena e diede le spalle a quello, così che se l'animale le avesse travolte entrambe, ella avrebbe fatto scudo con la schiena alla figliuola; ma il cavallo, si dimostrò particolarmente educato e non solo si fermò ad un metro dalla donna, ma la salutò anche con garbo.
- Mia dama le rendo omaggio.
Serenella non aspettandosi un cavallo tanto educato si girò di scatto trovandosi viso a muso con quello, il quale le fece uno sbuffo sul naso girandole i capelli dal verso opposto.
- Mio gentile cavallo, la ringrazio di aver avuto pena di noi ed essersi fermato, ho temuto per la mia vita e per quella della mia piccolina.
- Madamigella a dire il vero anch'io ho temuto per la mia stessa salute, tant'è che me medesimo ringrazio il cavallo per essersi quietato.
A Serenella qualcosa non venne chiaro, ma il cavallo continuò a favellare.
- Or le sarei tanto grato se mi potesse sbrigliare da questa angusta posizione.
Il cavallo seppur parlasse non muoveva le labbra, e poi a dirla tutta la voce sembrava venire più dal basso. Serenella si piegò e testa al contrario diede una sbirciata tra le gambe del cavallo: appeso come un pipistrello alla pancia dell'equino vi era un cavaliere all'incontrario, con tanto di armatura ed elmo pien di bozzi con tutte le pietrate in capo che doveva essersi preso in quella posizione.
- Che ci fate li sotto messere? - domandò Serenella con Serena che si reggeva stretta in grembo pure lei in quella scomoda posizione.
- So bene che può sembrare sciocca codesta condizione, ma quando ho sellato il mio cavallo devo aver lasciato troppo largo il cuoio, così che in marcia da posizione a mezzogiorno, mi son trovato alle sei.
Slacciata la cintura sulla schiena del cavallo, il gentiluomo ribaltato finì per terra con un tonfo sordo e rimessosi in piedi si inchinò a Serenella.
- Mia signora, vi devo la salute della testa, un solo colpo in più e sarei andato fuor di senno.
Il cavallo senza più quel fardello appeso al ventre, si voltò e riprese a galoppare, lasciando lì il povero messere che non poté far altro che salutar da lontano la bestia.
- Mi vedo costretto a chiedervi ospitalità per questa notte mia dama, non vi arrecherò disturbo, dormirò qua fuori e voi potrete stare nella vostra splendida dimora. Ho come la sensazione di essermi dimenticato qualcosa, saran state tutte quelle botte in capo. - disse il cavaliere bussandosi con il guanto in ferro sull'elmo - Ma son convinto che una notte di riposo mi schiarirà le idee.
- Non se ne dispiaccia, ma un messere come voi mi vedo in obbligo di farlo stare al riparo. - disse Serenella sapendo bene che non era cosa sana per la bimba star sotto quel tetto - E non voglio sentire il contrario: ve lo chiedo come dama a cavaliere.
Il messere non poté controbattere e accettò di dormire nella catapecchia.
La vera ragione poiché Serenella spinse l'uomo a dormir lì dentro fu per non entrar nel merito di una qualche situazione sconveniente. Non poteva di certo dormir nella stessa stanza con un uomo di cui non si fidava, soprattutto nella sua condizione di madre, e poiché la loro vera stanza da letto era sempre stato il prato, le sembrò naturale confinare quello tra le quattro mura di legno. Ma la mattina dopo anche questa si dimostrò esser stata un'altra infausta decisione.
Si perché quando le prime luci del sole fecero capolino tra le colline, il legno scricchiolò per l'umido che cominciava a ritirarsi, una scheggia si sollevò poco poco e un briciolo di polvere dal tetto scese giù, andando a finire nell'elmo che il cavaliere rincitrullito com'era non si era tolto. La polvere giunse al naso, ed un sonoro starnuto si portò giù tutta la catapecchia, schiacciando ancora una volta il povero cavaliere nella sua armatura.
Serenella si levo di scatto, mentre Serena esplose in un pianto, la casa si era ripiegata sul messere e alla ragazza tornarono in mente le parole di quello: Mia signora, vi devo la salute della testa, un solo colpo in più e sarei andato fuor di senno.
Fu così che il cavaliere uscì definitivamente fuor di crapa.


II

Serenella piantò una delle assi nell'elmo del cavaliere e spinse con tutta la sua forza, ma non per far male a quello: lo voleva liberare. L'elmo a causa del crollo si era tutto piegato ed ammaccato e non veniva più via dalla testa del messere, che benché fosse passata almeno un'ora, non proferiva una sola parola.
Era sveglio, perché dalle fessure la ragazza riusciva a vederne gli occhi, che ruotavano in tutte le direzioni.
Serena strillava a squarciagola, non si era ancora calmata e se ne stava sgambettando adagiata sul prato. L'asse si spezzò, sotto il peso del corpo di Serenella facendola cadere seduta a terra.
- Maledette assi marce! - disse la donna.
Il cavaliere improvvisamente si girò verso la piccola, e quella nel veder quel ammasso di ferraglia tutta storta che le veniva incontro cigolando, cominciò a ridere.
Quello muovendosi cigolava così: Squinch, crrrrr, e la piccola come un coretto faceva eh eh eh…
Lui di contro squinch, squinch, crrrrrr, squinc… e la frugoletta eh eh ah eh eh.
Il cavaliere sollevava un braccio, squinch! Muoveva un piede, crrrrr! E la piccola rideva: parevano un'orchestra.
Il messere tutto storto, si guardò intorno, girò su se stesso un paio di volte e poi si incamminò verso le macerie della baracca. Aveva completamente perso il senno: non parlava più, si muoveva in un modo completamente insensato, a volte andava di lato, poi usava una gamba e un braccio, tornava indietro e cigolava ad ogni movimento. La giovane Serenella lo guardava senza capire bene cosa quello stesse facendo, lui si avvicinò alle assi, le prese e cominciò a tagliarle sfregandole su parti dell'armatura che piegata e ritorta erano diventate affilate, le incastrò tra loro e ne fece tante piccole cassettine.
Partì e andò nel bosco lì vicino.
Serenella prese in braccio la piccola, che rideva ed indicava l'uomo che andava avanti e indietro senza fermarsi un solo istante, lo seguì con lo sguardo da lontano: quello scavava nella terra con un furia mai vista, tanto che sollevava polvere manco fosse una fontana, che al posto dell'acqua faceva zampillar la terra.
Andò a prendere l'acqua dal fiume, impastò la terra, ci aggiunse una fine ghiaia che andava man mano a sbriciolare a suon di cazzotti e infine usò le cassettine per modellare ed essiccar mattoni: tantissimi mattoni.
Mattone su mattone, il cavaliere storto e fuor di senno cominciò ad edificare una casa fatta di solido cotto, ed ogni notte dopo una carezza col guanto ruvido a Serenella, andava a rimboccare le coperte alla piccola.

Un'anno dopo, la prima parola che Serena pronunciò fu: Squinch, squinch, crrrrrr, squinc.


III

Ci fu una volta, quando Serena avrà avuto cinque anni e mezzo, che il cavaliere ammaccato fece scappare a gambe levate un orso bruno.
Sarà stato perché adesso Serenella non era più costretta a mangiar radici strappate qua e là, o forse perché la piccola amava il miele e ne avevano sempre un pò in casa, ma fatto sta' che un giorno arrivò un orso bruno nei pressi dell'orto vicino alla casa di mattoni.
Casa non ancora per davvero, molti muri erano stati edificati, scale, tettoie e un piccolo viottolo, ma c'era ancora molto lavoro da fare.
Il punto è che quella mattina il cavaliere spiegazzato, era alla ricerca di rami flessibili per intrecciare cestini e suppellettili. Squinch, crrrrrr, squinc, crrrrrr, si inoltrò nel bosco camminando sulle mani, deciso a risolver tutto entro il pranzo, ma per il suo modo alquanto bizzarro di deambulare si andò ad incastrare con quell'armatura puntuta in un arbusto pieno di foglie e rametti fini.
L'orso dopo essersi fatto un giro per l'orto, raccogliendo un pò di verdure cominciò a fiutare tra le mura della casa due prede facili facili: una donna e una bambina croccante.
Si avvicinò alla porta e cominciò a grattare sul legno: crrrrr, crrrrr, crrr.
- Che strano! - disse la piccola Serena alla madre - Qui fuori c'è il cavaliere che dice "Pietre piene di pane", cosa vorrà dire?
E andò ad aprire la porta senza pensarci due volte.
VRAAAAAMMM!
L'orso entrò in casa pregustando il suo pranzetto: verdure e bambina, con una spolverate di mamma.
Ma le nostre due che erano alquanto tenaci, si arrampicarono sino ad aggrapparsi alle travi del mezzo tetto completato, l'orso pigro com'era si sedette li sotto pensando che prima o poi sarebbero scese.
- Squiiiiiinncch! Crrrrrr! - gridava Serena verso il bosco per richiamare il cavaliere - Crrrrrrr! CRRRRrrrrrr! Squiiiinch.
Ma niente, nessuna risposta.
Passò almeno un'ora. Dove diavolo si era cacciato il cavaliere compresso? Poi pian piano in lontananza: Squinch, squinch, squinchhh, crrrr… Squinch, squinch, squinchhh, crrrr...
Che voleva dire: non temete! Stò arrivando!
Tutto arrotolato il foglie e arbusti, il cavaliere non avrebbe mai più permesso a nessuno di far del male alle due donne, al costo della propria vita.
Dalla finestra entrò come una furia quell'ammasso di foglie, rametti e cigolii, che l'orso neanche sommando le sue tre vite precedenti e le dodici successive, aveva mai assistito ad un simile trabiccolo infernale.
Il cavaliere come sempre fuor di senno usava braccia e gambe per muoversi manco fosse una ruota.
Crrrr, squinch, squinch, crrrrr.
E l'orso volava di qua.
Squinch, squinch, crrrrr, squinch.
E se ne volava di là, che alla fine se ne andò correndo all'impazzata, dopo che il messere gliele ebbe cantate tutte nella sua lingua cigolante.
Da quel giorno l'orso ogni volta che vedeva un cespuglio, si scusava e se la dava a gambe levate dall'altra parte.


IV

Passarono altri anni, ma questa volta senza orsi. Il cavaliere non si fermava mai, giorno e notte continuava a costruire, a tagliar legna, a far mattoni, batteva il ferro a suon di testate.
Una sera prima di andare a dormire, Serena chiese al cavaliere attorcigliato.
- Squinchh, crrr, crrrr, crrrr? Crrr, squinch!
Che voleva dire: Anche se ormai non sono più piccolina, mi racconteresti una favola? Quella dell'oca trottola!
Allora lui si sedette li accanto e cominciò a raccontare.
Mosse prima un braccio lentamente, per emettere un leggero e prolungato squiiiiiiiiiiinch, poi chiuse e riaprì il guanto veloce per due volte crrrr, crrrr.
Serena rise, la favola era appena cominciata.

Buonanotte.


V

Ancora qualche mattone e la casa sarebbe stata finita, erano passati nove lunghi anni dalla notte in cui era giunto il cavaliere all'incontrario. Tutto era pronto, Serenella e Serena stavano sul viottolo fatto di mattoni, con il cuore che batteva all'impazzata in gola e nelle tempie.
Il messere se ne stava sulla punta del tetto a finir di posizionare quei tre mattoni.
Tre, due, uno… finita!
Dove un tempo sorgeva una baracca di assi marce e senza chiodi, ora c'era una casa di mattoni che pareva un castello, con stanze grandi, finestre, porte solide e scale che portavano al piano di sopra, dove anche lì c'erano stanze, porte e finestre.
Fu tutta una seria di abbracci, baci e cigolii, i tre festeggiarono per tre giorni e tre notti, poi prese dalla stanchezza, Serenella e Serena caddero in un sonno profondo.
Il cavaliere arzigogolato le portò nei letti che aveva fatto per loro, come sempre accarezzò il viso di Serenella e rimboccò le coperte di Serena.
Poi in lontananza sentì un nitrito: un altro cavaliere era venuto per lui.
Scese al piano di sotto, prese gli unici due mattoni che gli erano avanzati e li mise in una bisaccia, uscì dalla porta principale e mentre si allontanava nella notte, la porta chiudendosi lentamente emise un leggero e prolungato squiiiiiiiiiiinch.

Il cavaliere schiacciato non tornò mai più.


VI

Ti odio con tutta me stessa, odio questa casa, ogni suo mattone.
Odio ogni tuo cigolio, odio quella porta quando si chiude.
Odio le finestre che gracchiano quando le apri, il legno che si impasta in un suono sordo.
Volevo tu non smettessi mai di raccontarmi le favole.
Me ne vado!
Anch'io.


VII

Passarono davvero tanti anni.
Serena era ormai diventata donna e in quella casa non c'era mai più tornata, Serenella al contrario vi rimase fino al suo ultimo giorno.
Per una vita intera, la figlia si era sempre chiesta la ragione per cui la madre non avesse mai odiato quei mattoni. Per lei forse era stato meno doloroso l'abbandono del cavaliere? Ci si può abituare alla dipartita?
Quando Serenella morì lasciò in eredità la casa di mattoni alla figlia, e quando Serena ricevette la lettera di successione decise che quella storia sarebbe finita lì per sempre.
Portò con sé decine di uomini, li armò di martelli, asce e corde. Avrebbero fatto piegare su se stessa quella casa, così come era stato per quella di legno, seppellendo una volta per tutte il ricordo del messere.
- Lasciatemi entrare per un ultima volta in quella casa maledetta, poi potrete tirarla giù.
L'interno della casa era buio, gli scuri non lasciavano entrare neanche un filo di luce. Serena volle vedere per l'ultima volta il suo nemico negli occhi, così decise di lasciar entrare la luce.
Si avvicinò agli scuri e li aprì.
Squiiiiiiinch.
Un lungo lamentoso cigolio.
Poi diede forza alle braccia per aprire le altre finestre.
Crrrrrrrr, crrrrr, crrrrrrrrr.
Cadde un bel pò di polvere, che finì dritta nel naso di Serena, la quale emise il più forte starnuto della sua vita.
Ecco entrare la luce! Un forte sole illuminò tutta la stanza.
Serena si guardò intorno.
A dire il vero, non aveva mai notato che l'orologio a cucù sopra il caminetto avevo solo la metà dei numeri, da uno a sei.
- So bene che può sembrare sciocca codesta condizione, ma quando ho sellato il mio cavallo devo aver lasciato troppo largo il cuoio, così che in marcia da posizione a mezzogiorno, mi son trovato alle sei.
Sul pavimento era stesa un pelle d'orso e sopra un cesto di rametti intrecciati che conteneva foglie di bosco.
- Dalla finestra entrò come una furia un ammasso di foglie, rametti e cigolii, che l'orso neanche sommando le sue tre vite precedenti e le dodici successive, aveva mai assistito ad un simile trabiccolo infernale.
Ogni cosa in quella casa parlava della loro personale favola.
Poi Serena cominciò a girare per le altre stanze, aprì la prima porta, squiniiiiiicccchhhh, poi la seconda crrrrrrr, poi un'altra ed un'altra ancora, squincchhh, crrrr, squinchhh squiiiiiiinch.
- Anche se ormai non sono più piccolina, mi racconteresti una favola? Quella dell'oca trottola!
Ogni porta, finestra, anta d'armadio o cassettiera era una parola in sequenza nella strana lingua del cavaliere maciullato, compresso, distrutto e schiacciato.
L'intera casa, con i suoi cigolii cominciò così a raccontare una favola a Serena.


Epilogo

C'era una volta un ragazzo che faceva vita da monaco eremita, che un giorno si innamorò di un'imperatrice povera di nome Serenella.
Egli l'amava così tanto che avrebbe voluto costruirle un intero castello di solidi mattoni, in un posto dove un giorno un forte sole avrebbe illuminato la loro vita.
Ma sapendo di non esser un buon carpentiere, cominciò ad edificare una piccola casetta di legno, contravvenendo a ciò che gli imponeva il suo ordine monastico: non c'è spazio per l'amore carnale in un corpo che è stato donato a Dio.
Certo non era un vero e proprio castello, le assi che aveva usato erano marce a causa delle molte piogge, ma quando Serenella aprì gli occhi che il suo amato le teneva al riparo con le mani, vide la più bella delle reggie.
Tra quelle quattro mura si amarono e dopo nove mesi nacque un sole, una nuova vita a cui diedero il nome di Serena, perché ella oltre alla sua, era la parte meravigliosa della madre.
Giunto il pianto della bimba all'orecchio del superiore del ragazzo, fece grande scandalo, tant'è che fu inviato subito un cavaliere per riportare il ribaldo al monastero.
L'uomo d'armi dopo aver messo in catene il giovine, si mise a prendere a calci la casetta di legno, fino a far schizzare fuori da ogni foro i chiodi.
- Vedremo sporca signora se avrai ancora l'ardire di giacere sotto a quel tetto traballante, tu e il frutto maledetto di questo monaco corrotto dal vizio.
Il cavaliere si portò via il ragazzo che finì dritto nelle celle del monastero.
Passarono tre mesi e finalmente una notte, non vi dico come, il ragazzo riuscì a fuggire. Trovò il cavaliere addormentato e gli rubò così l'armatura indossandola in tutta fretta, pronto a tornare dalla sua signora.
Cavalcò una notte e un giorno intero, ma sventura volle che non essendo cavaliere, sellò il cavallo nel peggiore dei modi, andando a scivolare gambe all'aria in un istante. Con la testa che sbatté per tutta notte sulla dura pietra, rischiò di perdere il senno, ma tenne duro fino a che non giunse alla casetta di legno marcio.
Prossimo così alla sua dama, ebbe subito le idee un pò confuse, tant'è che gli venne in mente la vera ragione per cui era lì soltanto la mattina dopo, quando con suo stupore si ritrovò sveglio nella sua vecchia catapecchia di legno marcio.
Doveva avvertire le donne, portarle via da quel luogo, un cavaliere prima o poi sarebbe tornato per portarli tutti via.
Ma poi peccato che quel sole che tanto aveva sperato di trovare, gli giocò un brutto scherzo asciugando appena le assi sulle punte, quel tanto che bastò per fargli calar sul naso un pò di polvere.
Eeeeetciùùùùù.
Sbadadranghete!

Ma tutte le sventure non vengono per nuocere, quando ormai definitivamente fuor di senno, si accorse che poteva anche senza voce, raccontare a chi amava tutta la sua storia.

Squinch, squiiiiinchhh, crrrrr, squinch.

venerdì 3 febbraio 2012

La foglia presuntuosissima - (carte estratte: 12 14 21 - tiraggio di Silvia M.)



Le foglie non muoiono, compiono atti di presunzione.
Lo sapeva bene il castagno che ogni autunno si ritrovava a far gli stessi discorsi.
- Se non volete morire, dovete restare verdi!
I suoi rami, carichi di foglie smeraldine si protendevano in ogni direzione sotto al sole velato di settembre, quando ormai l'autunno era alle porte.
Ed era sempre una a cominciare.
- Ah! Ci manca solo questa. Cosa ne capisce lui che ha cent'anni ed è rincitrullito.
Seguiva un'altra foglia.
- Noi siamo giovani e facciamo come ci pare.
Partiva la terza.
- Il castagno è marrone, noi foglie siamo verdi. Tutta invidia la sua, può dirsi verde solo grazie a noi.
Continuava qualcun'altra.
- E sarà vero che ad esser marrone mica si muore. Anzi! Si campa cent'anni come gli è capitato a lui.
E come ogni anno cominciava così, prima una poi l'altra, tutte quelle facendo un gran baccano pian piano diventavano marroni.
La madre terra le richiamava a se una ad una, come quando per il gran ballo del re vieni annunciato per nome.
Era solo presunzione, pensava sconsolato il castagno, che ormai da cent'anni e più se le vedeva sfilare via solo per trovare la fine ai suoi piedi, e quando anche l'ultima foglia ormai tutta marrone, con un flebile "tic" si spezzò dal ramo, il castagno scosse il capo sconsolato.
- Io sono la foglia più presuntuosa di tutte e non mi basta esser stata verde e poi marrone.
Sbirciò l'ultima con gli occhi all'insù come a volerci pensare un pò e vedendo il cielo sopra di se disse:
- Ho deciso: sarò azzurra!
E con immenso sforzo strinse gli occhi sino a sentir pulsare le tempie e quando volse di nuovo lo sguardo al cielo, quello era diventato marrone.
- Ma non è possibile! Non ha funzionato! Tutto là fuori è cambiato tranne me.
Niente di più errato, perché benché la foglia continuasse a cadere, lo stava facendo verso l'alto allontanandosi a testa in giù dalla bruna madre terra.
Azzurra e leggera, se ne andava verso l'alto che per affinità cromatica il cielo la richiamava a sé.
Cadde per giorni trasportata dal vento, senza sapere bene dove andasse, non poteva deciderlo lei sino a che il soffio dell'aria la spostava come voleva.
- E allora io voglio essere ancora più presuntuosa e imparerò dal vento a soffiare.
E spingi spingi gonfiando le guance, la nostra foglia apprese a cambiar direzione, approfittandosene subito per soffiare in capriole, risucchi e planate.
- Oh che bello essere presuntuosi.
Ma quanto volò? Direi per tanto, perché se la terra finisce tra le radici dell'albero, sul suo cappello c'è troppo spazio: il cielo è sempre un passo davanti all'occhio.
Cadere per così tanto tempo ti fa pensare fino a farti rimanere solo, perché quando anche l'ultima parola prende il volo dal tuo cervello, non resta altro.
Adesso non ho più parole, non ho più soffi, non ho più colori: sono alla fine del cielo.
C'è un castagno verde alla fine del cielo, con più di cento foglie azzurre sui suoi rami, una per ogni anno di quel rincitrullito, una più presuntuosa dell'altra.