domenica 30 ottobre 2011

Tutte le parole dei sogni - (carte estratte: 13 18 5)



Seduta su una sedia accanto al focolare, stava una vecchina con in grembo un pargoletto.
Poiché l'innocente, turbato da latrati lontani non riusciva a prender sonno, ella cominciò a raccontargli una novella.
Conosci tutte le parole dette nei sogni?
La morte se ne guarda bene dal raccontartele, poichè solo lei vuol sembrare la padrona della notte. Ella conosce tutte le parole che nei sogni vengon dette, e se la mattina al risveglio ci fai caso, hai solo un vago ricordo smozzicato dei luoghi al di là degli occhi chiusi.
La signora del trapasso è anche però una gran chiaccherona, e facendo fatica a tener per se cotal segreto, decise di condividere il fardello con il popolo dei lupi, che a quel tempo eran capaci di ascoltare e parlare. Questi però, per aver sentito troppo, furon condannati al silenzio in modo alquanto singolare: la morte per tener ben cacciate le parole in fondo alla gola degli animali, li costrinse a cibarsi solo delle mani dei morti, così che quelle falangi tenessero ben salde le loro ganasce impedendogli di rivelare.
Chi conosce tutte le parole dei sogni, può vivere nel mondo dei riflessi, e la morte continuava a voler esser solo lei quell'unica.
Da quel momento si diede così un bel da fare a staccar mani a noi poveri mortali. Fino a che il lupo, sempre più si abituò a quel sapore cominciando ben presto a prendere il vizio di cacciar l'uomo.
Ma tra i lupi alcuni erano convinti che il segreto dovesse esser condiviso, e questi divennero cani, per poter stare vicino all'uomo senza impadronirsi però delle sue mani.
Da noi le uniche che ricevono, sono talvolta quelle delle carezze e del dar loro da mangiare; per alcuni invece sono quelle delle botte.
Ma ai portatori del segreto non importava, e per protegger l'uomo dalla caccia della morte, decisero di perdere da soli la facoltà di parlare.
La vecchina diede dei piccoli morsi alle mani del piccolo che ormai aveva chiusi gli occhi.
E se di notte senti un cane abbaiare alla luna, sappi che in quel preciso istante sta gridando nella sua lingua particolare tutte le parole dei sogni; sapendo così di non rischiare. Perché ormai l'uomo, a discapito di quel sacrificio, ha smesso di comprender le parole che non sono le sue proprie.

sabato 22 ottobre 2011

I bottoni del sant'uomo di Villafranca - (carte estratte: 1 5 10 - tiraggio di Ilaria B.)



Si dice che la storia capitata nella piccola chiesa di Villafranca, ebbe a sovvertire per cinque giorni ogni ordine naturale delle cose; tanto che chi era di spirito curioso e poco religioso si recò puntuale alla messa e chi era solito trovar conforto nelle parole del curato, in quei giorni vi si tenne invece piuttosto alla larga.
Bizzarra considerazione rimane, che anche se qui siamo in odor di santità tutto ebbe inizio nella bottega di un sarto un pò maldestro, che di ago e filo stava cominciando appena a capirne i principi. Ad egli, che si chiamava Innocente, era stato dato in opera di dover confezionare una bella casula verde che sarebbe andata indosso al curato per la messa del giorno a venire.
Innocente che come dicevo era poco più che un giovinetto inesperto, a forza di dar battaglia alla sua professione, si ritrovò di lì a poco a combinare un bello strappo proprio sul collo della veste. Cosa fare, che tutte le stoffe aveva finite, ed era senza neanche una moneta in eccesso per comprare della valida fettuccia?
Gli venne così la brillante idea di arrangiar quella situazione con un bottone bello in vista, proprio al centro del collare, che facesse un pò da spilla e un pò da minuzia ornamentale; che se vuoi nascondere un errore per bene, non v'è cosa migliore di mostrarlo come un vanto o un gioiello.
Scontato è che io ammetta che l'idea fosse bella, ma il sarto era così mal pagato e povero, che di bottoni nel cassettino dei bottoni non v'era rimasto più neanche l'odore.
Decise così che per metter rammendo a quella lacerata situazione si privasse egli stesso di uno dei bottoni che teneva indosso.
Staccò allora un orfano a penzoloni dalla sua camicia leggera e lo mise proprio dove lo voleva mettere. E quanti complimenti gli fece il curato per quel singolo in bella mostra, che di casule così particolari non ne aveva mai viste e data una misera moneta al sarto se ne tornò alle sue pecorelle smarrite.
Ora il curato, proprio nel bel mezzo della sua liturgia, quando stava per celebrare la mensa del Corpo di Cristo con vino ed ostie sull'altare, cominciò all'improvviso a farle fuori per bocca una dopo l'altra manco fossero fette di buon salame. E ci diede dentro con tale gusto, che più di un buon sorso di vino del calice sacro lo aiutò a mandar giù; e tra il clamore generale dei fedeli, il curato noncurante continuò a prodigarsi in parole e apprezzamenti su quanto fosse buono quel pane, andando avanti così tanto che finite le ostie, a pancia piena concluse con un bel rutto. Tanto fragoroso fu l'apprezzare che il bottone dal collare volò via fino a giungere oltre l'ultima fila di fedeli.
Cominciò così un altro giro per riparare la Casula verde che di bottoni adesso ne aveva uno in meno. Il sarto sentita quella storia arrivare alla sua bottega prima del curato in persona, si preoccupò ben bene di far sparire la moneta che gli era stata data, per non rischiar così di perderla per le ire del sant'uomo.
Ma di astio non ve ne fu, tanto che pareva che sul curato neanche fosse rimasta un ombra di quello che era successo.
Innocente si accordò così per il rammendo e diede appuntamento all'uomo per la sera.
Ora visto che della moneta non ne voleva perder neanche un grammo, decise di usar un'altro bottone dei suoi per porre rimedio allo strappo, e gira che ti rigira, fini a usare il bottone che gli reggeva i calzoni.
Il giorno dopo, alla messa c'era già la fila lunga davanti al portone, che tutti i curiosi seppur privi di un Dio volevano vedere il curato pien di umana passione.
E come voi forse avete già intuito, che se il primo bottone che era sulla pancia aveva dato gran voce all'appetito del curato, quello del secondo giorno si occupò di soddisfare ben altri appetiti, mettendo in gola e poi tra le parole del santo ciò che di più un uomo di chiesa dovrebbe disdegnare. E nel momento più alto di un orgasmo, quando come Dio ti puoi permetter di creare, il secondo bottone saltò via con un balzo finendo ben lontano dall'altare.
- Ah! Ma come veste bene questa Casula verde col bottone! Peccato solo che si debba sempre far riparare, ma voi sarto che siete uomo di buon mestiere, so di per certo che mi riuscirete a soddisfare.
E Innocente incredulo, senza considerare bene quanto un sol bottone potesse spostare l'asse del mondo, mise sulla casula quello che soleva abbottonare sul taschino vicino al cuore. Il terzo giorno il curato ebbe solo parole d'amore, ma di un amore che andava al di la delle pagine dei suoi testi.
Perché furono parole di passione che se tennero definitivamente lontani i fedeli da quei luoghi sacri, seppero incendiare le valvole cardiache di tutti quelli che si erano riuniti dai paesi in cui era giunta questa storia.
Va da se che anche alla fine della terza funzione il bottone saltò via.
Il sarto che nel mentre aveva imparato il riproporsi consueto della questione, già dietro all'altare stava ormai pronto con il quarto bottone, che l'aveva recuperato da un asola del cappello.
Fu così che il giorno seguente, il curato fece di quei ragionamenti fini e popolari che definitivamente scatenò le ire del suo ordine, che venuti a sapere della questione della chiesa di Villafranca, si decisero a mandare un loro padre per verificare e porre fine alla questione.
Io a dire il vero non so dove Innocente il sarto prese il quinto bottone, ma quello che si dice e che quando l'uomo dell'ordine giunse il quinto giorno a varcar la soglia del portone, si ritrovò di fronte un uomo santo che aveva imparato a parlare a tutte le persone.
E se è vero che al sarto ormai cascavano braghette, camicie, cappelli e borsettine; è altresì vero che il quinto bottone prese dimora fissa sul collare della casula del curato della chiesa di Villafranca.

sabato 8 ottobre 2011

Le parole del maestro - (carte estratte: 19 13 5 - tiraggio di Nadia S.)



Tra tutte le novelle vi posso assicurar che questa è quella più vera del vero, perché non si tratta di metter in scena personaggi nati solo da mia fantasia, ma di riportar ciò che ho visto ieri con questi mie occhi.
Vi era un uomo santo che parlava attraverso ciò che diceva la gente, dalla sua bocca non usciva mai una singola parola, ma era solito dire sempre il vero.
Egli era un moro dalla pelle d'ebano, vestito di rosso, che chiedeva una moneta per dar risposta a tutte le domande che gli venivan fatte.
Attorno alla sua santità si era detta ormai ogni parola conosciuta e molti dubitavano che ciò fosse vero, eppure ogni singola persona che aveva avuto modo di toccare con mano la sua profonda saggezza, ne era venuta fuori cambiata e nuova di pacca.
Stavano all'alba due fratelli sulla riva di un fiume, che per abitudine e carattere si davan sempre contro, e se uno diceva che il mattino ha l'oro in bocca, l'altra - che era femmina - gli rispediva indietro uno sbadiglio, per dimostrare che dalla sua cavità non cascavano monete.
Anche a loro erano giunti i racconti di chi aveva visto all'opera il santo, e se lei mossa da curiosa reverenza lo voleva veder arrangiare l'alma di un qualche poveretto, al fratello di contraltare faceva sorridere solo l'idea di vederlo cascar per terra.
Decisero quindi che quel giorno sarebbero andati a cercare il santo, per vedere se aveva da snocciolare qualche risposta anche a loro.
Nella piazza principale, un pò in disparte era seduto il moro. Non stava su una sedia gestatoria, ma su una pietra piatta accostata alla fontana più grande del paese. Le persone gli si accostavano e si sedevano, attendendo che egli finito di contemplare il mercato da quella posizione, si alzasse al momento buono per condurre chi aveva bisogno di risposte alla verità.
Un uomo magro magro sino all'osso, si avvicinò e si sedette tra gli atri. Il santo allora si alzò, camminò sino al poveretto e gli tese la mano per avere la moneta, poi fece segno a quello di seguirlo.
I due si avviarono verso il mercato.
- Santo! Signore voi siete santo! Io ho un male che non può essere guarito, un male che mi porta ad una morte certa, subitanea, spietata. Mi dia la vita! Come devo fare per guarire ora, adesso.
Io ve lo avevo detto che il santo parlava attraverso la gente, e non diede nessuna risposta a quella domanda, continuò solo a camminare, andando là dove vi era un groviglio di corpi che si accalcavano per tirare il prezzo migliore sulle merci.
- Venghino, venghino signori, che questo è il posto giusto per trovare ogni cosa.
Non si capiva nulla in tutta quella confusione, che il povero malato dovette cominciare a urlare nell'orecchio del santo per sovrastare tutte quelle grida.
- Messo di fronte a morte certa, non so più chi sono, cosa devo fare?
Ma li era tutto un'intreccio di frasi sconclusionate
- … 12 anni fa…
- Mamma andiamo a vedere…
- ... di trovare un rimedio che mi arrangi del denaro…
- Mezza strega, come fai?
- Non mangi niente!
Avete presente quando siete immersi nella folla? Sembra quasi che vi sia un'unica armonica melodia che viene salmodiata sotto forma di brusio, e come un canto ha a volte degli accenti dove qualche parola si fa strada da sola. Un mozzicone di frase. Un racconto masticato.
- Io devo sapere come poter fare! Voi che siete santissimo tra tutti, voi sapete il vero, ed io devo sapere, voglio sapere! Ve ne prego, guardatemi non vi faccio pena?
Fratello e sorella che avevano assistito sin dall'inizio a questo soliloquio da dietro le spalle dei due, tendevano l'orecchio per sentire quali parole diceva o non diceva il santo, spintonandosi a vicenda per dare ragione ognuno alla propria posizione.
- Voi scegliete quello che vi piace di più signora…
- Ne ho di tutti i colori…
- Al mercato ci vengo solo per curiosare un pò!
Il povero malato, cominciò ad incalzare per avere la risposta per cui aveva pagato il peso di una moneta.
- Santo, ditemi come fate? Come riuscite a conoscere sempre la verità?
- Signori! Signori non spingete, ce n'è per tutti se avete pazienza…
- Santo uomo siete voi! Ma non capisco, non dite niente? Io credevo che mi avreste aiutato!
- Se mi date le vostre misure, posso tagliarvi un vestito con la stoffa verde che avete scelto.
- Parlate maledizione! Voi non siete un santo! Voi credete di poter piegare la volontà delle persone! Approfittatore!
- Mia cara dama, se passavate poc'anzi, vi avrei potuto soddisfare. Purtroppo di quella mercanzia ora non ne ho più per voi.
I fratelli che avevan continuato a porgere l'orecchio per tutto il tempo, per pena vollero difendere il malato, e contro quel falso santo che non aveva invero tutte le risposte, gridarono all'unisono:
- Voi siete solo un impostore!
E come tante volte accade con perfetto tempismo, che quando a tavola nel brusio generale tutte le voci dei commensali per un istante si chetano all'unisono, quella singola frase si erse nel silenzio.
Il moro si voltò, e con grande calma, porse le mani ai due, consegnando una moneta per ciascheduno.
Poi si allontanò con andatura lenta, lasciando dietro a se il povero malato, che quasi come se si fosse fatto pietra, ad occhi spalancati non distolse lo sguardo dai due fratelli, poi disse:
- Me ne vergogno di aver finto malattia, ma speravo che per pena mi dicesse quale fosse il suo segreto di conoscer sempre il vero.
E così tutti ebbero la loro risposta.

sabato 1 ottobre 2011

Tutti i mali del mondo - (carte estratte: 16 15 13 - tiraggio di Federico F.)



Sono le pieghe delle lenzuola la causa dell'insonnia, che se invece di sentire quell'orlo premer contro pancia e coscia potessi semplicemente scivolar per superficie liscia in un sonno calmo, ci sarebbe tanto da guadagnare.
Ma il problema rimane proprio quello e tu per quanto tiri da ogni lato, non trovi scampo alla situazione, con risultato di aver trasformato quel lenzuolo in carta straccia.
Così tante erano le pieghe che Ferdinando aveva impresso nel suo letto, cha da ben sedici giorni non chiudeva occhio. Ma quando finalmente l'orbita si era fatta così pesante che gli sembrò di cadere giù dal letto, un "toc toc toc" lo rimise in piedi.
Ferdinando infilate le babbucce, con la candela in mano andò a vedere chi fosse all'uscio, quando solo due rintocchi aveva suonato la campana.
Oh per misericordia!
All'uscio si parò dinnanzi il diavolo, che appena l'uomo scostò di poco la porta quegli ci infilò le unghie rapido ed entrò in casa come il soffio freddo della notte.
- Buonasera Ferdinando.
- Buonasera signor Diavolo, data l'ora immagino sia cosa importante e improrogabile.
Ferdinando era sempre gentile, conosciuto tra tutti per i suoi buoni modi.
- Ah certo! L'importanza è presto detta, fatemi prego cortesia con la sola vostra presenza, sempre se non disturbo.
- Ci mancherebbe, prego si accomodi al mio tavolo. Le posso preparare una tisana calda per darle maggior conforto?
E in questa situazione, Ferdinando dovette rinunciare al letto, collezionando in altro modo una nuova notte con gli occhi a palla.
E mentre il diavolaccio gliela raccontava bella e lunga, il nostro pover'uomo schiacciava ventotto erbe in tisana.
- Si, caro Ferdinando, perché pensavo che a volte anche io dovrei seguire il vostro esempio: voi vi comportate bene con la vita, avete buone maniere, siete figlio rispettoso, di grattacapi non ne avete da smaltire.
E mentre il diavolo continuava a raccontargliela in lungo e in largo, come fosse norma, con la calda tisana di Ferdinando ci si lavava il culo e il fallo. Non gli si poteva dar torto del resto: la tisana era davvero rinfrescante.
Arrivò così la mattina, e quando il gallo cominciò a cantare, il diavolo salutò il pover'uomo che neanche quella notte chiuse occhio.
Ma perlomeno il letto non era stropicciato non avendoci posato le membra stanche per nemmanco un'ora.
La notte successiva Ferdinando disse:
- Questa volta non mi faccio più fregare, se all'uscio vedo il diavolo non gli apro.
Tirò bene le coperte e per non farvi nemmeno una grinza, vi scivolò dentro piano piano e non si mosse se non solo per respirare.
Toc, toc, toc.
- Questa volta, lascio perdere, se è lui faccio finta di dormire.
Toc, toc, toc.
Ferdinando andò alla porta per vedere chi ci fosse di fuori, ma vide solo un uomo magro magro fino all'osso.
- Bene! Non è il diavolo.
Così aprì la porta.
- Buonasera Ferdinando, sono la morte. Mi spiace disturbarvi a quest'ora della notte, ma è cosa assai importante.
Ferdinando allora lì per lì, dispiacendogli di far torto a quella che stava li fuori al freddo mezza ignuda, la fece entrare.
La morte si accomodò per bene sul letto e vista quella coperta senza manco una piega, chiese a Ferdinando se la potesse usare.
- Sapete Ferdinando, quando uno è così magro come me per costituzione, gli viene sempre da patire il freddo.
- Non fate complimenti cara morte: riscaldatevi.
E il nostro, alzò la coperta sulle spalle di quella, che disse.
- Ero li che pensavo, ma il Ferdinando è proprio una brava persona, che mi dispiacerebbe incontrarlo solo il giorno in cui dovrò portargli via la vita.
Ferdinando non poté far altro che pensare, che anche in questa notte non avrebbe chiuso occhio, perché da come quella era partita a raccontare, pareva cosa lunga e assai complessa.
- Si, perché tutti pensano a me come una persona che quando arriva toglie solo, si porta via la vita, la gioia, i sogni e le speranze. Ma alla fine anche io son come loro, che la notte ho anche freddo, mi vien fame due volte al dì e non posseggo altro se non una falce e un paio di mutande. E poi sono espansiva, mi verrebbe voglia di chiacchierar con tutti per ore.
Oh santa pazienza che devi avere con la morte! E Ferdinando per scaldare quella magrezza incompresa e dargli corda, gli fece vedere come si faceva a preparare la tisana, proprio come quella che aveva fatto la sera prima: ventotto erbe in acqua calda.
La morte fu soddisfatta, sentendo come quella gli scaldava le membra, e la mattina dopo salutò Ferdinando che recuperata da terra la coperta stropicciata, uscì a sua volta di casa con il sonno addosso.
- Non si può proprio più dormire! Questa notte alla morte, mi dispiace non gli apro; che benché siano interessanti i suoi argomenti, quella parla tutta fino al alba senza smettere.
E infatti arrivata la notte Ferdinando non aprì alla morte, perché lo fregò di nuovo il diavolo.
Che se uno si è preparato bene a difendersi su un fronte, dall'altro rimane sguarnito e cade in confusione.
La notte seguente poi non aprì al diavolaccio, ma alla morte. ormai quelli sembrava si fossero dati appuntamento alterno, e un giorno l'uno e il successivo l'altro riuscivano sempre a tener sveglio quel pover'uomo con le loro questioni, e per ben quattro anni egli non chiuse più occhio.
Ma una sera del quarto anno, che era bisestile, si presentò all'uscio prima la morte e subito dopo il diavolaccio.
Questi due che erano andati in confusione per quell'anno particolare, al ventinove febbraio non sapevano bene cosa fare e se l'uno pensò di ritardare di una notte, quell'altro per non sbagliarsi ragionò di anticipare.
Ferdinando a quel punto non sapendo proprio cosa fare, li squadrò per un pò dalla finestra.
- Mannaggia! Che questa volta mi ero ben preparato a non aprir né all'uno né all'altro, ma che venissero insieme non lo avevo considerato.
E aprì anche quella notte.
Ma per abitudine ormai, quei due sapevano cosa fare, e se la morte aveva imparato a preparare e servire la tisana tenendosi la coperta sulle spalle, al diavolaccio bastava solo riceverla per lavarsi poi le chiappe.
Ferdinando se ne rimase li senza nulla da fare, così si sdraiò sul letto ormai di lenzuola e cominciò a russare.