venerdì 26 agosto 2011

Dante - (carte estratte: 18 8 20 - tiraggio di Davide S.)



Girando di piazza in piazza, devo dir la verità, di storie ne ho narrate tante e altrettante ne ho collezionate; ma tra tutte quante, quella che mi appresto a raccontarvi a breve, di sicuro può fregiarsi del titolo di questione assai complessa.
Ma vi avverto sin da adesso, seguitemi con attenzione tra tutte le parole, perché a chi farà errore vedrò cader la testa.
Dante era solito girar di villaggio in villaggio, perché era un cantastorie.
Con il suo strumento incantava ogni piazza in cui sfilacciava le sue trame, manco fossero il filo che spunta dal maglione, che se tirato a dovere ti lascia in mutande in una sola mossa.
Egli era così bravo con le parole, che prima o poi tutti li lasciava in mutande.
Dante faceva il contadino ed era felice così, passava le sue giornate a seminare, a raccogliere e a lavorare la terra.
Aveva anche un pollaio di cui andava molto fiero, tanto che il suo miglior gallo, alla festa di paese, di premi ne aveva vinti almeno uno per ogni piuma che portava sulla coda.
Per scherzo a quel gallo, Dante aveva messo nome Dante.
I polli di Dante erano i più buoni di tutta la contea ed egli li vendeva a caro prezzo ai mercanti.
Dante fra tutti i cuochi del regno era quello più appassionato e nella sua osteria non c'era mai silenzio, si mangiava e cantava, e il buon vino esaltava i sapori che lui con gran maestria sapeva mettere in fila.
Egli era convinto che la materia prima fosse tutto perché un buon piatto riuscisse bene, e aveva così a cuore l'onestà del macellaio che gli vendeva la carne, che a lui dava da mangiare senza mai chiedere nulla in cambio.
E poi sarà stato segno del destino, ma anche quest'altro si chiamava Dante e soleva dirgli:
- Ricordati Dante, che qui tra Danti ci si intende!
E i due ogni volta che pronunziavano questo scioglilingua, scoppiavano a ridere.
Dante sul banco della sua macelleria al mercato, vendeva solo i polli migliori della contea, certo gonfiava un pò i prezzi ma era sicuro di non fare torto a nessuno; che se ciò che è troppo buono "non ha prezzo", di sicuro a fare un prezzo, meno di quello che "non ha" egli faceva.
Dante per stare sul sicuro comprava i polli di Dante, che non so se ve lo avevo già detto, ma egli possedeva anche un gallo che aveva vinto tanti premi quante erano le piume della sua coda.
Al mercato quel giorno c'era un pò di agitazione, perché si era sparsa la voce che la sera ci sarebbe stato in piazza lo spettacolo di Dante, un talentuoso cantastorie.
Dante quando venne l'ora del pranzo decise di andare all'osteria, e guarda te la fortuna, vi ci trovò Dante che intanto accordava il suo strumento; che a suonar con la pancia piena è tutta un'altra storia, infatti poco prima Dante gli aveva servito un pollo di Dante.
Al che quando si seppe che quello era il prodigioso cantastorie, subito tutti gli chiesero di farsi raccontare una storia.
Dante disse:
- Una storia val bene un pollo!
e Dante fu subito d'accordo.
Cominciò così la storia di Dante.
Dante andava in giro per il mondo e a camminar tanto gli venne fame, ma nelle tasche aveva così poche monete che invece di mangiarsi un gallo, dai suoi piedi colse e poi si cucinò un callo.
Proprio sul callo, Dante disperato entrò nell'osteria gridando:
- Mi hanno rubato il gallo!
Eh si! Perché la notte prima, qualcuno si era intrufolato nei luoghi che sono privati di Dante e il gallo da lì aveva trafugato.
Subito nell'osteria si fece un gran silenzio, chi poteva esser stato così vile a far sparire il gallo?
Certo ognuno aveva i suoi buoni o cattivi motivi, ma tra tutti chi è che aveva più ragioni di far torto a tutti gli altri?
Dante sapeva che fine avesse fatto il gallo, perché lo aveva preso lui per i suoi scopi, e gli sovvenne proprio in quel momento, che in piena notte aveva pensato:
- Se sono abbastanza scaltro nessuno capirà mai che ho preso io il gallo.
Per venire a capo della faccenda, di sicuro ci voleva qualcuno che fosse al di sopra di ogni questione.
Dante che ormai da una vita controvoglia faceva il giudice, caso vuole che quel giorno fosse proprio all'osteria e in quattro e quattro sedici, si vide costretto a portar tutti in tribunale, per venire a capo dell'intreccio.
Dante fece resistenza per andare in tribunale perché proprio non gli andava, Dante invece pensò che fosse giusto, perché anche se di cose ne aveva tante da fare in quel giorno, era anche un bene che la verità venisse a galla.
Dante incalzò facendo tante accuse, mentre Dante si difendeva; ad un certo punto anche Dante, che stranamente fino a quel momento era stato in silenzio, si alzò in piedi e ne disse quattro a tutti.
Improvvisamente Dante si accorse di qualcosa e gli fu tutto chiaro, così disse a gran voce:
- Il gallo l'ha rubato Dante e con le piume che son tante, quante i premi che il gallo stesso ha vinto, ci si è fatto un capello per essere il più bello.
Era vero!
Come era stato possibile che nessuno sino a quel momento se ne fosse accorto?
Perché Dante per tutto il tempo, aveva portato in testa un copricapo di piume nere di gallo dai riflessi verdi.
Ora era tutto chiaro, Dante in persona fu portato al patibolo, perché gli vollero tagliar via la testa sulla quale aveva portato il copricapo per tutto il giorno.
Il boia levò la scure e poi calò un colpo secco e la testa di Dante rotolò giù dagli scalini; ma da quel collo diviso con precisione sbucò subito dopo un'altra testa, manco fosse la coda di una lucertola, che il boia con prontezza di riflessi ristaccò di netto.
E ve l'avevo detto io all'inizio della storia, che chi non si sarebbe districato tra tutte le parole gli si sarebbe staccata la testa.
Ma neanche il tempo di fare questo ragionamento, che da quel collo sbucò fuori un'altra testa.
E il boia pronto staccò la nuova testa, poi la nuova ancora e quella dopo, e le teste furono ancora tante che faccio fatica a raccontarvele tutte, ma diciamo che furono almeno una per ogni storia che vi posso cantare e una per ogni piuma nera che il gallo portava sulla coda.

domenica 21 agosto 2011

Dove nasce l'arcobaleno? - (carte estratte:10 21 19 - tiraggio di Gianluca F.)



Sin da bambino, aveva sempre desiderato conoscere l'origine dell'arcobaleno.
Con i suoi sette colori se ne stava fisso lassù a contemplare il mondo, tirava fuori la testa dopo ogni temporale, e per incorniciare l'orizzonte aveva sempre tempo.
Poi crebbe e cominciò a cercare.
Ma voi ci pensate che nella vostra pancia ci sono così tanti metri di intestini?
Che sotto la sottile pelle, metri di vene sono così ordinatamente arrotolate e intrecciate, che a metterle in fila ci vorrebbero troppi passi per camminarci intorno in un sol giorno?
Beh! Anche il mondo è così, un misto di gomitolo e matassa che a districarlo tutto mettendolo poi in linea sarebbe impresa ardua.
Gustavo aveva cominciato da piccolo, un pò per gioco camminando intorno a casa, a immaginare che sotto i suoi piedini ci fossero tutti e sette i colori dell'arcobaleno, e che ad ogni suo passo potesse tingere la terra che calpestava.
Dopo ogni temporale, nel cielo compariva quell'arco colorato che tanto lo affascinava e lui con il naso all'insù, stringeva con forza gli occhi a fessura come a volerlo imprimere con maggior convinzione nella sua memoria.
Aveva cominciato a districare una teoria su di esso: forse quando la pioggia lavava per bene il mondo rendendolo lucido, quello che vedeva così in alto era il riflesso dei colori dei suoi piedini.
Gustavo continuò così giorno dopo giorno ad accarezzare con i suoi colori ogni angolo che riusciva a raggiungere, perché se fosse riuscito a colorare tutto il mondo avrebbe potuto ammirare un arcobaleno senza confini.
D'apprima camminava girando intorno alle cose, poi ne riempiva gli spazi vuoti salendoci sopra, da quei primi tentativi se ne era dovuto inventare di tutti i modi per poter dipanare ogni singolo centimetro percorribile.
Giorno dopo giorno il mondo di Gustavo si colorava un pò di più e dopo aver percorso tutto il giardino di casa, cominciò a colorare la contea, poi tutto il regno, per finire a colorare anche tutti i mari.
Per la strada ci vai dritto, sull'albero di lato in verticale per far bene aderire la pianta del piede alla corteccia, sull'erba colpetti leggeri ad ogni filo così non rischi di rovinarli, nei fossi invece aveva capito che era meglio scendere di schiena e l'acqua la si doveva trattare con particolare cura, perché ha sia una superficie che un fondo.
E il mondo pian piano si svolgeva, strato dopo strato venne sbucciato dai piedi di Gustavo, che calmatosi ogni temporale, guardava soddisfatto la volta celeste che si perdeva sempre più in là oltre l'orizzonte.
- Quando avrò percorso tutto il mondo, l'arcobaleno non avrà più confini, perché il riflesso delle sfumature abbraccerà ogni cosa.
Fatto stà che dopo tanti lunghi anni di cammino per terra e per mare, Gustavo si trovò alla base della ripida parete di un vulcano.
Cominciò come suo solito a percorrerne le pendici tutto intorno, non tralasciando neanche un granello di polvere e sulla cresta ne calpestò la corona intera prima di affrontarne l'interno ormai spento, che scendeva giù a voragine.
Lì dentro si scendeva parecchio, ma la troppa fatica non lo aveva mai spaventato e scese così tanto in basso che ormai il cielo sopra la sua testa era incorniciato in un perfetto tondo azzurro.
Mentre teneva il naso in su per contemplare quello spettacolo, gli capitò di mettere un piede in fallo.
Precipitò per diversi giorni, tanto che ci fece l'abitudine a dormire, mangiare e lavarsi in volo, finché poi non arrivò alla fine del budello che sempre più stretto andava a terminare in una stanza.
Quello era il centro del mondo.
La dentro si sudava parecchio perché faceva molto caldo, il buco da dove era arrivato era stretto stretto che c'era passato appena, poi quando gli occhi si abituarono al buio, si accorse che in lontananza il foro del vulcano era diventato un puntino chiaro, laggiù in fondo.
Si guardò intorno e vide un altro puntino ed un altro ancora, perché in quella stanza confluivano tutti i pozzi di tutti i vulcani del mondo, che a vederli così quei buchini parevano quasi un cielo stellato.
Poi tese l'orecchio e cominciò a sentire tutte le parole del mondo, che l'eco portava sino a quella stanza da ogni direzione.
Gustavo che così tanto aveva viaggiato, ora era in tutti i luoghi del mondo.
Se aveva sonno dormiva, se aveva bisogno di compagnia parlava verso una stella, sicuro che le sue parole sarebbero uscite da un qualche vulcano, e se aveva sete beveva, ma poco poco, perché aveva preso l'abitudine per nostalgia del cielo, di guardare i piccoli arcobaleni che si formavano dall'acqua che evaporava per il caldo del centro del mondo.
Il vapore leggero saliva facendo danzare i colori a mezz'aria verso le stelle, poi lui lo seguiva con lo sguardo oltre esse, per un ultimo saluto.
E ogni volta che Gustavo beveva, dai vulcani di tutto il mondo, si districavano arcobaleni senza confini.